Forse non essenzialmente io, ma io

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Bologna (itinerante), Bo, Italy
Nato a Taranto il 6 maggio nel segno del Toro. Il Giallo del collettivo Shingo Tamai, cialtrone poliedrico, dilettante eclettico, onnivoro relazionale, sempre in cerca di piaceri, di vezzi, di spunti e di guerre perse in partenza. L'idea di comparire in questi termini sulla rete è nata da un brainstorming con un amico, Leonardo Chiantini, qualunque fortuna possa avere il suo primo "quaderno di appunti" virtuale, è a lui che vanno i suoi ringraziamenti.
Benvenuti e buona lettura.
Ps. Aggiungetemi su Facebook e, con lo pseudonimo andrelebrogge, su Twitter

martedì 29 novembre 2011

Una breve comunicazione di servizio e due notizie

Per rendere la vostra visita più simile a una passeggiata, con le sue naturali e continue variazioni sul tema, che non a un blitzkrieg recensorio, ho pensato che da oggi in poi a un certo punto di ogni post metterò un intervallo, potrete quindi leggere la continuazione di quanto scritto seguendo il Continuamimi.

lunedì 28 novembre 2011

Soundmagazine.it - Intervista a unòrsominòre.


I gagliardi di Sound Magazine mi hanno chiesto di intervistare unòrsominòre e così ci siam messi di buona lena e questo è stato il risultato.

Cominciamo con le presentazioni che c’ho sto pallino dei nomi e mi piacerebbe capire il perché del tuo. Perché unòrsominore. tutto minuscolo, tutto attaccato e col punto finale?
Perché richiede impegno e attenzione, per disorientare un po’, perché è diverso dagli altri; o per lo meno lo era quando ho iniziato, cinque o sei anni fa. Non c’era questa invasione di bestie nell’indie italiano. Adesso con tutti i quadrupedi e i plantigradi in giro mi sa che cambio pseudonimo. Mi ricorda l’invasione di nomi di donna nella scena degli anni 2000. Bah, tutto passa.

Il tuo ultimo album “La vita agra” parla di questo presente. Cosa vedi?
Quello che vedo l’ho scritto e cantato: un paese stravolto, sconvolto, abbruttito nel suo intimo da decenni di corrosione della cultura, dello spirito critico, della tensione morale, e generazioni di padri e di figli distratti e superficiali e smemorati. Il 12 novembre scorso è cambiato qualcosa, è finita un’epoca ed è caduto un simbolo, ma l’epoca nuova di serenità e progresso è ben di là da venire. Le radici del disastro nel quale viviamo ormai da troppo tempo affondano nella storia di questa nazione. Questa liberazione, diversamente da quella del ’45, non porta con sé la voglia di ricominciare a ricostruire; siamo tutti stanchi, sfiduciati, non ci aspettiamo niente di nuovo. La mia generazione è cresciuta con l’imperativo categorico di rinunciare a credere, a sperare di cambiare qualcosa; “ci hanno preso tutto” e non vedo spiragli di sorta, nel futuro. La sinistra non esiste più da anni, l’Italia era e resta un paese di destra più o meno criptica, populista e ignorante, con o senza il tirannuccio in prima persona sullo scranno. E circa le nuove generazioni, direi che Manuel Agnelli la cantava giusta già una quindicina d’anni fa, e la situazione non è migliorata, anzi.
E il mondo discografico, invece, come ti appare?
Se parli del mondo indie, direi per lo più un mondicino piccino tutto teso a vivacchiare di cosine piccine; una piccola rete di amicizie e favori personali, esattamente come ogni altro settore. Per carità, esistono le eccezioni, ci mancherebbe. E comunque ovviamente io parlo solo per invidia. Del mondo major non posso parlare perché non lo conosco direttamente, ma mi pare che abbia sempre meno a che fare con la musica e sempre più con altre faccende. 
“Le parole sono importanti”, quanto lo sono per te e da quali letture o esperienze o modi di sentire nasce la tua poetica?
Lo sono assai, e mi piace pensare presuntuosamente che si intuisca nelle cose che scrivo e canto. Forma e sostanza non sono scindibili, “chi parla male pensa male e vive male” e chi scrive male difficilmente parla bene. Non è solo il godimento estetico di leggere e ascoltare costruzioni verbali piacevoli, c’è anche la necessità di essere chirurgici e spietati con le parole, per dire esattamente quello che va detto, per non lasciare spazio a formulazioni deboli – sia che si scelga di non essere ambigui, sia che si scelga di esserlo, il che è solo una questione stilistica. L’importante è avere coscienza di quello che si scrive e si dice. Letture: circa l’uso delle parole, direi Borges, su tutti; e poi Eco, Buzzati; Bulgakov. Ma metti anche Moretti, ovviamente, anche se non scrive romanzi.

Questo disco segna un’ulteriore crescita rispetto ai precedenti lavori, sia dal punto di vista degli arrangiamenti che delle tematiche proposte. Quando hai cominciato a scrivere “La vita agra” e come si sono sviluppati i pezzi?
Ho iniziato a scrivere le canzoni per questo disco molto tempo fa, un paio di anni almeno. E’ stato un processo lungo e complicato, non è il tipo di canzoni che sono sempre stato abituato a scrivere e quindi ho dovuto e voluto limare e sistemare ogni dettaglio. Poi cercare i suoni e le soluzioni musicali giuste per quelle parole è stato altrettanto difficile, e in questo ho ricevuto un enorme aiuto da Fabio. Ho cercato, sia nelle parole che nelle musiche, di evitare stereotipi di genere e cercare di non scadere in ovvietà. Non tutti sono convinti che ci sia riuscito, ma era preventivato. Alla fine, per aggiungere complicazioni alle complicazioni, ho deciso di registrare tutto da solo suonando tutti gli strumenti. E’ stato divertente.
Cinismo, rabbia, voglia di reagire, disillusione… Quali sono gli stati d’animo che hai riversato in questo disco?
Molta rabbia, sì, e molta disillusione, ma sempre cercando di filtrarle attraverso uno sguardo il più possibile razionale. Ho cercato di evitare sfoghi emotivi, anche quando urlo lo faccio con coscienza.
Il cinismo fa parte di me ma non credo si avverta troppo in queste canzoni, mi sa che tendo più a dare voce al mio idealismo romantico (per quanto pessimista) nella musica, per poi essere cinico e fastidioso nella vita di ogni giorno. Circa la voglia di reagire, in Celluloide sono abbastanza esplicito a riguardo: “Se cambiare qualcosa è impossibile, a cosa ci può servire la voglia di fare?”. La voglia magari c’è anche, è il metodo che manca.

Ci sono state altre possibilità musicali o precisi momenti in cui hai pensato di dover cercare nuove esperienze, oppure dal momento in cui hai aperto questa nuova parentesi artistica ogni ripensamento ha trovato soddisfazione in ciò che stavi riuscendo a creare?
No, hai voglia, decine di ripensamenti, continuamente. Ogni giorno, anche oggi. Sono un insicuro e non sono mai del tutto convinto delle mie scelte. Per questo lavoro poi, avendo deciso per scelta e per necessità di virare significativamente rispetto alle cose passate, i dubbi e le incertezze sono stati numerosissimi. Però posso dire che alla fine la soddisfazione è maggiore rispetto ad ogni altra mia esperienza passata in ambito musicale. Mi sembra di aver fatto, insieme e grazie a Fabio, il meglio che si potesse fare.

Ci sono musicisti o gruppi italiani che godono della tua manifesta stima?
Come no, e anzi grazie che me lo chiedi, così per una volta non sembro l’eterno insoddisfatto di tutto. Fra i cosiddetti indipendenti mi piacciono Il teatro degli orrori, Offlaga disco pax, Ministri, Non voglio che Clara. Meno noti ma bravissimi: Dilaila, Bancale, Misachenevica. Poi ci sono quelli veri, ma lì è un altro discorso, no? [sorride n.d.r.]

Quanto pesa una tua canzone e quale del tuo ultimo album senti ti appartenga di più?
Quanto pesa per chi? Per me parecchio, troppo probabilmente; per gli altri dipende, non saprei. Immagino non molto, altrimenti vivremmo in un paese migliore. Circa le canzoni, ce ne sono due o tre a cui sono molto legato: Celluloide, La vita agra II, Ci hanno preso tutto. Sono forse fra le meno immediate, e fra le più dirette, e cupe. Fosse stato solo per me forse il disco sarebbe stato tutto su quei toni, ma il mio produttore non ha voluto sentire ragioni e ha esatto il singolo ballabile.

Quali sono i tuoi programmi prossimi?
Suonare un po’ in giro, dove si riesce a farlo.
A presto, buon ascolto e buona lettura!

Ps. Ringrazio e non una volta sola, Valentina e SoundMagazine per l’opportunità!
Pps. Ringrazio FrizziFrizzi per la domanda sul peso dell’arte, su cui mi auguro non esista un copyright!

venerdì 25 novembre 2011

Incontro con l'autore - Jacopo Storni (22 novembre 2011)

Il 22 novembre il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha sollevato l’argomento dello Ius Soli, stimolando eventuali approfondimenti in tal senso ad opera del Parlamento, che a onor del vero e della logica avrebbero già dovuto essere trattati. Nello stesso pomeriggio nella sala sotterranea della Feltrinelli di Bologna, un giovane giornalista del Corriere fiorentino presentava il suo libro, Sparategli! Nuovi schiavi d'Italia edito da Editori Riuniti. A completare l'incontro il professore e giornalista Mauro Sarti e l'assessore comunale alle Politiche sociali Amelia Frascaroli, portavoce bolognese di un piano freddo, che molto probabilmente creerà accese discussioni, già promesse dai pdellini, visto l'intento di non voler operare distinzioni negli aiuti destinati agli immigrati o più in generale ai senza tetto. 
Il titolo, scelto dalla casa editrice per l'evidente forza mediatica, è l'apertura di un libro che non può lasciare indifferenti in questo suo trattare la decisamente complicata relazione tra immigrazione, clandestinità e lavoro. Un problema quotidiano che nelle storie raccontate da Storni, assume tinte decisamente cupe, inaccettabili, disumanizzate. L'intento dell'autore è stato quello di riportare in maniera vivida le indagini svolte da lui stesso sul territorio italiano, costringendo il lettore all'immedesimazione e per conseguenza alla relazione con la propria coscienza di individuo umano, prima che pensante.

L'avvio delle venti storie, parte dai comunicati stampa e dagli articoli pubblicati dall'agenzia Redattore sociale, una vetrina informativa di cui l'autore si è servito per poter arrivare più rapidamente al tessuto agghiacciante da lui poi presentato, un tessuto sul filo di un Terzo mondo invisibile, che apparentemente non sembrerebbe popolare lo Stivale, salvo poi presentarsi in tutta la sua crudezza continuamente, come dimostra la concentrazione posta da Storni nel raccontare la storia dei singoli protagonisti, gli esseri umani che popolano il libro.
L'incontro è stato intervallato, e questo lo considero come unico neo, dall'informale intervista all'assessore Frascaroli, e l'effetto d'allontanamento non tanto dalle tematiche del libro, assolutamente attinenti, quanto dalle modalità l'ho percepito come stridente. Diciamo che il potersi muovere nel contesto del "problema" immigrazione già per la sua stessa naturale ampiezza, pone delle difficoltà a non divagare parlandone come se ci si approcciasse a un "massimo sistema", per cui aggiungere a un tale incontro editoriale, la presenza e l'esperienza di una donna che da sempre è stata attiva nel campo del sociale, ma che nella fattispecie attuale ricopre degli incarichi politici, ha generato non pochi momenti di allontanamento dal fulcro della presentazione, che avrebbe dovuto ruotare strettamente intorno al libro.

La fine è che non c'è una fine, perché pur nella denuncia, resta il problema con tutte le sue contraddizioni legislative, con le colpe di uno smarrimento umano sfociante in razzismo passivo (quando non in peggio) da addebitare allo Stato, alla politica, ai giornali, alla scuola,  e di tutto questo il libro ne è profondamente cosciente. 
Si auspica il prossimo futuro.
Sperando di non morire di speranza.
A presto e buona lettura.

mercoledì 23 novembre 2011

Selacapo.net - Quando la musica è giovane. Ovvero BBUZZBBUZZBBUZZBBUZZ


Non ho un’esatta idea con cui qualificare questo articolo, credo in effetti che possa essere più vicino alla pagina di un blog che non a quella di un laboratorio giornalistico partecipativo, ma adesso sono più di quattro ore (e adesso è da sei minuti passata l’una di notte) che sento questo vomito di suoni eruttare da non ben precisate casse del secondo piano, e ho bisogno della liturgia della scrittura per riuscire a superare il momento o commetterò un pluriomicidio, e poi dovrò convincere gli inquirenti che me lo hanno suggerito le divinità o finirò pure per dover leggere sui quotidiani: “Per una semplice lite domestica uomo del sud Italia disperde una festa a colpi di coltello”.
Partiamo da un principio accettabile ...

...continua qui.
Buona lettura!

sabato 19 novembre 2011

Incontro con l'autore - Matteo Nucci (17 novembre 2011)

"La corrida è basata sul fatto che è il primo incontro
tra l'animale allo stato selvaggio e l'uomo a piedi. 
Questa è la premessa fondamentale della corrida moderna;
che il toro non sia mai stato prima nell'arena"
Ernest Hemingway

Per l'ultimo incontro di questa terza settimana novembrina non mi son ritrovato, come già in altre occasioni a sparare nel mucchio (leggasi 'ndo cojo cojo), ma spinto anche dal mio totemico animale astrologico guida richiamato nel titolo del libro, ho delibaratamente scelto di potermi immergere nell'ambiente accogliente dell'equosolidale Cafè de la paix, davanti al quale ero pure spesso passato nel mio girovagare per Bologna, senza tuttavia fermarmi mai. Qui veniva a prepararsi l'incontro con Matteo Nucci. Il già presente alla cinquina finalista del premio Strega 2010 con il libro Son comuni le cose degli amici, ripropone la sua prosa gagliarda con un libro (edito anche questo dalla Ponte alle grazie) che, parole testuali del suo introduttore Gianluca Morozzi (non ci si vedeva da un po' e quindi mi faceva piacere andarlo a trovare a una delle sue presentazioni), "farà come minimo discutere". A moderare, il morbidissimo e piacevolissimo preserata, anche uno tra i più eminenti blogger italiani dell'argomento corrida (se non il più eminente), Luigi Ronda. Ecco, diciamo che con quest'ultima battuta mi son bruciato l'effetto sorpresa, ma, via, tanto prima o poi avrei dovuto farlo comunque. Sì, il libro racconta il mondo della corrida visto con gli occhi di un turista italiano in viaggio per la Spagna, o per lo meno questa è una delle letture proposte. 


Il toro non sbaglia mai, è un titolo che riflette già alcuni dei molteplici contenuti scelti da Nucci per forgiare l'armonia del suo libro e crea quindi da subito un filo diretto con i legami filosofici così ben permeati nella struttura del romanzo; ad esempio, il concetto di crisis greca, come momento di catarsi e cambiamento offerto dalla scelta, che nel caso della corrida si sviluppa secondo la formula che è solo l'uomo a poter sbagliare la sua strategia, il toro invece proteggendo solo il territorio che considera suo, fa sempre quel che è chiamato a fare dalla sua natura. E quindi per conseguenza diretta non può sbagliare.


Come ricordo di aver letto già in merito al suo primo libro, anche questa prova, maturata nella sua gestazione nel corso degli anni, ha tre strati di lettura, naturalmente ben intrecciati tra loro: il primo coincide con lo sviluppo stesso della trama, dove un italiano "approda" in Spagna, si avvicina al mondo della Corrida e seguendo le orme e gli insegnamenti di un ex-torero fallito, scopre che dietro una semplicistica visione che la vuole barbarica espressione dei discutibili gusti umani, si cela l'arte di una vera e propria liturgia atta a celebrare la morte; il secondo strato è perfettamente incentrato sulla tauromachia, ed è permeato dal concetto filosofico antico di ingannare con verità (l'inganno nella Corrida è la prima delle due cappe usate dal toreador n.d.r.) e da quello di combattere il proprio toro interiore; quindi l'ultimo strato, in cui il mondo dei filosofi pre-socratici si unisce alla voce appassionata e artistica della Corrida, ricevendone in questa catarsi il suo prodigioso eco.

Son tante le cose che non si conoscono e di cui si parla a sproposito, ricordo in tal senso che quando ero a Siena sentivo molto spesso dire che solo i senesi potevano capire il Palio. Ecco, forse solo per gli spagnoli è davvero possibile arrivare alla verità insita in questa celebrazione della morte così lontana dal modo di vedere occidentale, agli esterni non rimane altro che provare, ed il libro di Nucci è egregio in questo tentativo, un avvicinamento, anche emotivo, verso una forma d'arte che non ha niente a che vedere con la frase fatta "o la si ama o la si odia", ma che è tutta contenuta in questo pensiero: "ognuno è il suo toro" e bisogna stare attenti e comprenderlo, perché il Toro non sbaglia mai.
A presto e buona lettura!

Ps. Curiosità frivola perché l'essere bislacco della vita a volte supera davvero lo scibile umano. Luigi Ronda, per la serie "Nomi parlanti", condivide già nel nome un qualche legame con la Corrida; difatti la festa spagnola per eccellenza, come noi la conosciamo oggi, nasce nella cittadina andalusa di Ronda.
Pps. Quest'ultimo incontro nelle sue dinamiche così conviviali e discorsive è stato il perfetto completamento di una settimana di presentazioni e se vogliamo assecondare la superstizione, questo è un altro punto a favore del titolo!

Incontro con l'autore - Lorenzo Arabia (16 novembre 2011)

Ivan Graziani. Viaggi e intemperie, edito dalla Minerva edizioni. E perdonatemi se comincio così "alla crudele", come si direbbe a casa mia, ma voglio essere certo che vi resti in mente il titolo di un libro che, nel suo formato da disco a 45 giri, è il risultato di un'infinita passione, e con il suo naturale tributo a uno dei più grandi rocker italiani di sempre, va a colmare un inaccettabile vuoto editoriale. 

Feltrinelli ore 18, come già mi accadde all'incontro con Vitali, tutto è organizzato all'addiaccio della galleria, di cui nonostante la sua importanza continuo a non avere idea di quale sia il nome, del resto se si montano le casse e il mixer la Feltrinelli di Piazza Ravegnana va in outdoor, ormai si sa. 
foto di Roberto Della Vite
Ad attendere l'inizio della presentazione, molto più vicina a un vero e proprio evento, visto l'allestimento compreso anche di strumenti musicali (basso, batteria e una chitarra leggendaria come una spada di Musashi) e alla presenza dell'autore Lorenzo Arabia, dello scrittore Gianluca Morozzi e della famiglia Graziani (moglie Anna e i figli Tommaso e Filippo), non meno di sessanta persone, sorridenti già dall'inizio, come se si aspettassero prima ancora di vederlo inscenato, un incontro spettacolare.
E come si sperava che fosse, è stato. 
foto di Roberto Della Vite
Sin dalla precisa introduzione e successiva intervista ai presenti di Morozzi: durante la quale si è scoperto che la biografia, introdotta da una prefazione di Lilly Greco (produttore artistico e fonico italiano) e Renato Zero, fa uso nella sua stesura di un'impostazione canonica, si arricchisce di un apparato fotografico (curato dal fotografo Roberto Della Vite) composto da interi album di ricordi e si addiziona via via di contributi collettivi (anche di moltissimi musicisti e cantautori italiani), di aneddoti, di spaccati di vita umana e musicale di Graziani artista, di voci di fan e di un dvd contenente una selezione dei live di tutti suoi tour fatti nel corso degli anni; alla quale chiacchierata si è intrecciato poi il racconto corale degli ospiti presenti, sulla genesi di un libro che unisce la passione dell'autore alla riconoscente benevolenza dei familiari.
foto di Roberto Della Vite
Una presentazione/viaggio che nel suo intermezzo e finale musicali ha portato in scena Arabia e i due figli di Graziani a suonare egregiamente (sono decisamente rimasto stupefatto delle doti canore di Filippo, eccezionalmente simili a quelle del padre) pezzi famosissimi del cantante teramano (prima parte Lugano addio, Monnalisa e Pigro; seconda parte Firenze e Dada).

Da mercoledì ascolto continuamente la voce e la musica di questo cantante incredibile e fa strano che se ne senta parlare così poco rispetto all'importanza da lui occupata all'interno della nostra storia musicale. Resta tuttavia la speranza consolativa (in questo caso nient'affatto magra) che con questo libro, quel vuoto lasciato troppo presto e così tanto a lungo nella memoria collettiva sia un po' meno vuoto.
A presto e buona lettura!

Ps. Quali parole posson bastare per ringraziare la gentilezza, quando si manifesta in tutta la sua spontanea eleganza? Grazie Roberto per le foto. Davvero.
Pps. Viaggi e intemperie è anche (o forse bisognerebbe dire innanzi tutto) il titolo dell'album uscito per l'etichetta indipendente Numero Uno nel 1980 e il nome del Tour musicale con cui Tommaso e Filippo rendono attualmente omaggio a Ivan.

venerdì 18 novembre 2011

Incontro con l'autore - Ildefonso Falcones (14 novembre 2011)

Non mi accade molto spesso di visitare la Biblioteca dell'Archiginnasio, l'ultima volta mi capitò di passarci durante la stesura del racconto "Le coincidenze di un Agosto", ma tutte le volte che ci vado trovo sempre qualcosa di mirabile, qualcosa che riesce a stupirmi e a farmi essere grato della visita. Il gancio in questa occasione mi è stato offerto dalla presenza nella straordinaria sala "Stabat mater" dello scrittore spagnolo Ildefonso Falcones, avvocato e autore del bestseller La cattedrale del mare e, di ultima uscita, de La Mano di Fatima, entrambi pubblicati in Italia da Longanesi.

Appensantita anche dal contesto del luogo, l'iniziale aria formale dell'incontro, introdotto e moderato dalla lucidità critica dello scrittore Bruno Arpaia (e accompagnato da un'eccezionale interprete di cui purtroppo non so il nome), è stata letteralmente spazzata via in meno di dieci minuti, dalla spontaneità dell'ospite catalano e dai racconti sempre più personali del suo vissuto intrecciati alle passeggiate fatte nei meandri delle sue due opere, con particolare luce sull'ultima nata.

Questo secondo romanzo, che essendo anch'esso un romanzo storico ricalca almeno in tal senso il primo lavoro di Falcones, risulta poi essere abbastanza differente soprattutto nella genesi e realizzazione dei personaggi intorno ai quali per diretta conseguenza si innescano vicende, che assecondando la loro stessa inclinazione creano situazioni di tutt'altra natura. Ad esempio i due protagonisti Arnau ed Hernando, rispettivamente del primo e del secondo libro, divergono grandemente l'uno dall'altro e se la risposta di Arnau alle sollecitazioni esterne è concretizzata nel suo subire le pressioni, in uno stato di semi-passività, quella di Hernando è di buttarsi a capofitto incarnando un idealismo quasi estremo nel suo essere tanto attivo. Va da sé che non mutano lo spessore degli intrecci, che anzi ne La mano di Fatima sono contrassegnati dai bianchi e neri dei contrari costantemente contrapposti.
Lo stesso Hernando si porta addosso, in quanto figlio di una morisca (cioè di una donna musulmana iberica convertita a forza al Cristianesimo) e di un prete cattolico, il contrasto evidente che spinge l'intreccio delle relazioni del libro.
L'ambientazione si svolge nell'intricato periodo di lotte civili e religiose che sconvolsero la Spagna del Siglo de Oror, per intenderci, quello durante il quale i moriscos, si ribellarono alle autorità cattoliche cercando aiuto anche presso gli altri territori di lingua musulmana e, in questo ritratto, lo spaccato storico risulta verosimile, appagante e sempre funzionale alla vicenda, come del resto tende a precisare lo stesso autore quando afferma che lui non si ritiene esattamente un romanziere storico, visto il suo ricercare nella storia solo "brevi" parentesi per lui piacevoli, all'interno delle quali muovere poi i fili dei suoi libri.

La ricchezza insita nel contrasto è quindi il risultato finale dell'incontro con Falcones, del resto come dimostra la natura della sessualità del passato, tanto libertina nei costumi del mondo arabo quanto chiusa in quelli del mondo cattolico e ben proposta dalle due spose del protagonista all'interno del libro, quando due realtà si parlano, i ruoli di allievo e di maestro finiscono per non essere mai chiari e forse il delinearne i confini risulta essere un esercizio superfluo.
A presto e buona lettura.

giovedì 17 novembre 2011

Soundmagazine.it - Musica da cucina

Giacomo Spazio e Valeria Maggiani, su disegni di Elvira Giorgetta
Dopo il clamoroso disco d'esordio del 2007, il progetto Musica da cucina dal 15 novembre per l'etichetta Long song records ritorna con una seconda opera, carica di suggestioni e linee che coerentemente fanno da eco diretto a quanto già proposto. 
Per poter recensire questo disco va necessariamente fatta una precisazione. L'intento del disco è quello di suggestionare con suoni, incanti, rumori e miscelazioni musicali e soavemente canore, la magia di una tavola imbandita, della preparazione di un manicaretto, di quanto di più vicino ci possa essere alla vivacità di un convivio, risultando essere una miscela piacevole; questo è infatti anche il messaggio su cui il comunicato punta per arrivare alla sostanza e del progetto musicale in termini e del disco.

Quel che posso aggiungere cercando di muovermi delicatamente, ché non vorrei ritrovarmi a bocciare un'idea tanto garbata, graziosa e tutto sommato ben realizzata, è che questo tipo di avvicinamento e di realizzazione si esprime al meglio solo leggendo le parole del comunicato o entrando poeticamente in simbiosi con le radici del progetto, cosa che però distanzierebbe e molto dal parlare dei contenuti.
Giacomo Spazio e Valeria Maggiani, su disegni di Elvira Giorgetta
Quel che sto cercando di dire è che qui non discuto la bravura dei musicisti, né affosso la qualità del disco, bensì che l'intensità intimistica suggerita, non arriva come forse dovrebbe, o per lo meno non mi è arrivata come invece avrei sperato. Probabilmente il poterne osservare live le qualità acustiche avrebbe cambiato il mio parere o sicuramente reso più disciplinati i miei apprezzamenti, ma è del disco che mi trovo a parlare e io non vi ho trovato quei dettagli che parlano "di mare, di montagna e di terra, di madri e di figlie, di morte e di vita".
Buon ascolto.

Ps. Ringrazio Valentina e Soundmagazine per l'opportunità. 

martedì 15 novembre 2011

Non-Incontro con l'autore - Marco Buticchi & Donato Carrisi (13 novembre 2011)

Rarissimamente mi è capitato di partecipare a "incontri" che non hanno soddisfatto per nulla né il mio interesse né la mia curiosità. Diciamo che ho fiuto, come nella scelta dei libri, quindi vado a colpo sicuro. Ma, com'è naturale, rarissimamente non è sempre, e questo è stato uno di quei casi. 
Devo ammettere che già la partenza non era stata particolarmente avvincente, visto che mi aspettavo la presentazione di un libro di Buticchi, del quale avendo letto brevi antologie dei suoi romanzi, volevo fare la conoscenza, ma fosse stato solo per questa mia personale incomprensione dei programmi dell'Ambasciatori, locale anfitrione dell'incontro di domenica, sarebbe stato relativo il mio scontento. Autori a confronto possono creare miscele ganzissime.

E allora cosa non mi è piaciuto? 
Non mi è piaciuto il clima che vi ho respirato. Non mi è piaciuta l'impostazione della serata. Non mi è piaciuta affatto la sensazione di essere di troppo in mezzo a una platea che invece sembrava gradire l'essere di fronte al gioco del chi c'è l'ha più lungo" (leggasi Cazzòmetro). Non ho, infatti, assistito a un incontro simile a qualunque altro tra quelli già presentati ampiamente su questo quaderno virtuale d'appunti, ma si è trattato, o per lo meno mi è sembrato che si sia trattato, più di un sipario con due showmen che sponsorizzavano se stessi, cosa molto vicina al pontificare la propria larga esperienza di vita ed editoriale, ovvero tipo: "Ma sentite questa cosa quant'è interessante. Eh beh lo so, ho una vita avventurosa, sono uno scrittore io" o peggio, "Caro Marco, ma ti ho raccontato di quella volta che ... blablabla ... son forte, eh?" "Ehhhh, Donato, ma tu questa cosa ...blablabla... l'hai mai fatta?".

Ecco, l'ho fatto. Non lo volevo fare questo articolo, ma è stato più forte di me. Ho assistito a una non-presentazione dei propri libri e a una citazione continua delle proprie realizzazioni, come se entrambi portassero alla luce la loro opera omnia per dispensare luce sugli astanti, come se i due autori giocassero di ruolo dal vivo, interpretando due piazzisti di se stessi rispettivamente. Tutto questo senza che ci fosse un terzo moderatore, che credo sia il motivo principale per cui mi son trovato di fronte al corrispettivo editoriale di una serata in compagnia di MondialCasa.
La smetto. 
Poi domani (leggasi al più presto) vi faccio conoscere Ildefonso Falcones e la sua ultima uscita.
Non me ne voglia nessuno, non credo che i due autori siano dei montati, ma ciò che ho visto non è altro che questo, una reale sboronata in cui solo una cosa ha fatto da assoluta e indiscutibile padrona, l'autoreferenzialità.
A presto e buona lettura.

Frivolezza del giorno

"Ho letto che l'Eichornia crassipes, una pianta, è stata inserita nell'Elenco delle 100 specie aliene più dannose del mondo.
Ne conosco almeno un'altra e non è una pianta, la femmina del sorcio
"

venerdì 11 novembre 2011

Poul Anderson - Quoziente mille

Titolo originale: Brain wawe
Autore:Poul William Anderson
Anno 1953
Edizione: Oscar Mondadori -Urania-
Pagine: 165

"... il novantanove per cento della razza umana farà sempre cose convenienti piuttosto che cose intelligenti, a prescindere dalla sua intelligenza, illudendosi di poter sfuggire alle conseguenze ..."

Quando per la prima volta mi capitò di leggere, ormai parlo di un decennio fa, Anderson, il libro in cui incocciai s'intitolava la "Saga di Hrolf Kraki", una saga fantasy molto simile a quelle tipiche della mitologia nordica, e già allora, pur apprezzando l'idea della sceneggiatura, mal sopportai i contenuti e soprattutto la prosa scelta dall'autore. 
A dieci anni di distanza, ho pensato di riprovarci questa volta con un libro di fantascienza e così, quando ho trovato in una di quelle tipiche bancarelle del libro questo titolo, non ho perso tempo. E tutto sommato nemmeno il libro lo ha perso, facendomi capire sin da subito che sarebbe stato un revival.

L'idea è galattica. 
Immaginate che il Quoziente Intellettivo degli uomini sia strettamente correlato a un gas presente sulla Terra e che i valori di questa sostanza si alterassero a un certo punto mettendo in discussione le, fino ad allora considerate tali, medie intellettive, aumentandole vertiginosamente, e non solo quelle umane, ma anche animali. Ecco, adesso fantasticateci su, come ha fatto l'autore. Il tono cupo, sempre più claustrofobico e catastrofista, senza dubbio ben interpretato da Anderson, cede il passo a un paio di cadute di stile e, se risulta piacevole il seguire la vicenda attraverso i vari personaggi, che ognuno a modo proprio si approcciano a questo nuovo stato di cose, ad esempio la parte psicotica di Sheila è geniale, d'altro canto viene facilmente risolto (forse per evitare di perdersi in troppo complesse dinamiche) il filone socio-politico e anche poco (davvero troppo poco) osservato l'atteggiamento animale nei confronti dell'uomo dopo l'azzeramento delle distanze intellettive. Aggiungendosi a questo una non troppa attenzione alla metrica narrativa, il risultato è un libro anche godibile per certi versi, ma non soddisfacente. Non almeno rispetto alle premesse promesse dal titolo.
Poi, via, da qui a giudicarla una cattiva lettura ce ne passa.
Buona lettura.

mercoledì 9 novembre 2011

Soundmagazine.it - Laser Geyser - Innerself surgery


Bite me as hard as you can.
Take my legs off now
Laser Geyser - Charcharodan Charcharias

Mettiamo che vi piacciano un po’ le policromie, anzi no, mettiamo che siate affetti dalla Sindrome di Stendhal in presenza delle policromie, l’album attirerà la vostra attenzione già solo con la copertina, una tavolozza con i sette dell’arcobaleno rovesciati a casaccio, che io ci vedo un cosmo, ma credo che sia una mia impressione personale. Tuttavia qualora non foste così facilmente perturbabili, lasciate che vi dia una mano e che vi presenti questo duo bolognese: i Laser Geyser, dietro al cui alias si nascondono JJ e Cangio, componenti degli ex-Laida Bologna Crew, che il 22 novembre, pubblicati dall'etichetta Tannen records, escono con il 7'' Innerself surgery. 
Un singolo, questo, che nelle sonorità è un brindisi al proto-punk e nei testi delle due tracce (Innerself surgery e Silver strawberry for a bullet) una sorta di spaccato nichilista; soprattutto la seconda delle due, quella che non porta il fardello del titolo dell’album e che tratteggia la dedica a Jan Potocki, lo scrittore polacco che limò pazientemente una fragola d’argento con l’obiettivo, raggiunto, di farla diventare un proiettile con cui suicidarsi.

Ma Innerself surgery è solo l’ultima delle fatiche di un progetto musicale che pur razionando moltissimo i dischi e le uscite, suona dal 2005 e ha all’attivo un EP, Ode to primary numbers, un singolo ed uno split-single, tutti dalle qualità eccezionali, seppur appena diversi tra loro nei soggetti dei testi, e che è un peccato non poter trovare anche attraverso canali come Youtube o Vimeo, se non apprezzando le poche versioni presenti dei live e, ma solo in parte, quelle che troverete a disposizione sul loro Myspace.
Una chitarra, una batteria e due voci che attraverso un’energia musicale travolgente e testi surreali e futuristici (quasi da fantascienza uraniana), vi incolleranno alle casse, in un loop che nel mio caso dura da tre settimane, cioè da quando li ho scoperti.
Purtroppo non ho trovato Charcharodan Charcharias (ma lo squalo bianco non era charcharodon?) che secondo me è il loro pezzo più bello, per intenderci quello con i quali due versi ho aperto, ma Throat miners e Innerself surgery son due eccellenti consolazioni!
Occhio al 22 novembre e buon ascolto!

Ps. Ringrazio Valentina e Soundmagazine, per l'opportunità!

lunedì 7 novembre 2011

Frivolezza del giorno - Fanfullata di Costantino


"E' una gran bella invenzione il trash, perché è sempre lì in agguato e viene fuori quando meno te l'aspetti, come la sciolta"
Alvaro Vitali - attore e doppiatore

venerdì 4 novembre 2011

Francisco Ruizgè & Valerie Mangin - Luxley vol. 1 e 2

Titolo originale: Luxley
Autore: Valerie Mangin - soggetto Francisco Ruizgè - disegno Jean-Jacques Chagnaud
Anno 2011
Edizione: 001 edizioni
Pagine:144 + 96 


"Anno 1191 Accade l'inimmaginabile. Approfittando della partenza dei Re cristiani per la Terza Crociata, una grande armata di Maya, Aztechi e altri guerrieri venuti d'oltremare invade la Cristianità inerme. 300 anni prima di Cristoforo Colombo il Nuovo Mondo ha osato invadere il Vecchio ..." 

Bellissimo, fresco, pulito e godibile, dall'inizio alla fine.
Siamo nell'ucronia storica: "... e se non gli occidentali con la loro tecnologia matallurgica anni luce avanti e le loro malattie fossero, come sono, approdati nel Nuovo Mondo, ma invece gli americani nativi (del nord, ma soprattutto del sud) grazie alla sapienza dei loro stregoni avessero previsto l'arrivo degli occidentali e per impedire la distruzione del loro mondo fossero arrivati in Europa, cosa sarebbe accaduto?" Ma certo, se la sarebbero vista con Robin "Hood" of Locksley! (Luxley è alla francese).

Il beniamino della definizione ruolistica di chaotic good (cioè che contravviene alle leggi e agli ordini per il bene comune) l'abbiamo visto in molte salse, qui per la prima volta diventa un un po' leader, un po' gaglioffo e un po' sciamano e questa sua nuova incarnazione è perfetta.
Il what if diventa quindi l'inizio di una storia fantastica (intesa proprio come fantasy) eccezionale, che partendo dalle avventure degli Allegri Compari giunge in Francia, in Medioriente fino a travalicare l'oceano e aprire il mondo ancora inesplorato del Sud America.

La narrazione, tra storia, misticismo, magia e intreccio politico, risulta costruita fin nei minimi dettagli, e confonde talmente tanto da sovrapporre costantemente i buoni ai cattivi, superando anche lo stesso significato della dicotomia e mescolandoli, rendendoli irriconoscibili come natura delle cose vuole che sia e creando dei personaggi verosimili che ben si avvicinano a quanto già si può sapere sul loro conto (intendo dalle fonti della nostra storia/letteratura). I disegni sono densi sia nei tratti sia nel colore, e continuamente non fanno altro che accentuare la bellezza dei dialoghi, fittissimi.


Insomma, Luxley è una graphic novel in due volumi (raccolta italiana dei cinque volumetti francesi), assolutamente riuscita, che senza indugio vi consiglio di comprare e lo suggerisco in modo così diretto perché merita davvero troppo per lasciarvelo solo intendere dalle mie considerazioni.
Buona lettura!

mercoledì 2 novembre 2011

Aforisma del giorno

"Le relazioni dipendono soprattutto da quanto riescono a superare tutti i quotidiani "mi dispiace" non detti"
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