Forse non essenzialmente io, ma io

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Bologna (itinerante), Bo, Italy
Nato a Taranto il 6 maggio nel segno del Toro. Il Giallo del collettivo Shingo Tamai, cialtrone poliedrico, dilettante eclettico, onnivoro relazionale, sempre in cerca di piaceri, di vezzi, di spunti e di guerre perse in partenza. L'idea di comparire in questi termini sulla rete è nata da un brainstorming con un amico, Leonardo Chiantini, qualunque fortuna possa avere il suo primo "quaderno di appunti" virtuale, è a lui che vanno i suoi ringraziamenti.
Benvenuti e buona lettura.
Ps. Aggiungetemi su Facebook e, con lo pseudonimo andrelebrogge, su Twitter

lunedì 27 dicembre 2010

Antonio Tabucchi - Sostiene Pereira

Titolo originale:
Autore: Antonio Tabucchi
Anno 1996
Edizione: Universale Economica Feltrinelli
Pagine:214

"...Il rapporto che caratterizza in modo più profondo e generale il senso del nostro essere è quello della vita con la morte, perché la limitazione della nostra esistenza mediante la morte è decisiva per la comprensione e la valutazione della vita."

Quando venerdì scorso mi ritrovai alla stazione di Bologna per prendere uno dei miei soliti regionali, mi resi conto che una delle cose più importanti l'avevo dimenticata.
"Cazzo, il libro!", ho pensato. 
Così, vista l'attesa che mi sarebbe toccata, ho cominciato a guardarmi in giro con la speranza di trovare qualcosa che potesse fare al caso mio, speravo nei fantomatici libri della Newton & Compton da un euro.
Davvero, ci ho provato, ho provato a cercare qualcosa che fosse più frivolo, ma quando mi son trovato di fronte questo titolo, mi son ricordato di Mastroianni e non ce l'ho fatta, m'ha rapito la nostalgia, per restare in tema la saudade

Non ricordo nulla di quel film meraviglioso, eccetto la malinconia tutta italiana dell'espressione di quel mostro sacro del nostro eccezionale cinema, che paraltro mi ha accompagnato durante l'intera breve lettura.

Siamo nell'agosto del 1938 a Lisbona in Portogallo. Il regime salazarista controlla pressocché totalmente la società portoghese. Il Dottor Pereira è il capo redattore della pagina culturale di un piccolo giornale portoghese apparentemente indipendente, il Lisboa. Pereira è un uomo stanco, troppo impegnato a ricordare la meraviglia di ciò che era la sua vita per accorgersi davvero di quanto sia diventata triste. La sua intelligenza è sterilizzata da ogni scoppiettio creativo, la sua visione civile oscurata dal male di vivere che si porta addosso da quando gli è morta la moglie. Il contatto con il giovane e appassionato Monteiro Rossi e con la sua fidanzata Marta, è il suo primo passo verso il cambiamento, definitivamente innescato dall'incontro con il Dottor Cardoso.

State leggendo un'opera magistrale. Dai contenuti così straordinarii da colpire anche i più stanchi di voi. E' un romanzo civile, il suono della campanella scolastica che segna la fine della ricreazione. Pereira stesso è un uomo qualunque troppo debole e impegnato nei propri affari, per comprendere che esiste davvero molto poco (se esiste) del proprio mondo privato che non venga toccato da tutto ciò che appartiene alla società in cui si vive. Lo percepisce con consapevolezza tardivamente, ma non tanto tardi da impedirgli di far qualcosa.

Non voglio lasciar giudizi, inutili, fuorvianti.

L'unico consiglio è di leggerlo.
Leggetelo non come fareste con la lista della spesa, ascoltate le parole che s'innescano nella vostra mente durante la lettura. Trovate della lettura che state facendo un impegno. Date peso alle parole. Anche allora il tutto vi scorrerà come acqua fresca. Perché nel mondo che vivete ci sentirete quel "puzzo del compromesso morale" che questa civiltà fa quotidianamente con il potere, connivendovi.

Emozionatevi. Aprite gli occhi. Forse lo sosterrebbe anche Pereira.
Buona lettura.

giovedì 23 dicembre 2010

Aforisma del giorno

"Se a Natale diventassimo davvero tutti più buoni, ritireremmo tutti i soldi dalle banche"

mercoledì 22 dicembre 2010

Aforisma del giorno

"Il "non si fa" aprioristico è quello che aborro quando sento parlare di violenza fisica. Premesso che è l'unica arma, per quanto bestiale essa sia, a disposizione di tutti, inoltre nell'immaginario dell'uomo la mancanza della percezione del sangue, come "fuoriescente" e non solo "sottocutaneamentescorrente", è ciò che gli fa credere d'essere onnipotente.
Osservare il proprio sangue uscire, cambia la consapevolezza che si ha della propria persona e, conseguentemente, ridimensiona il proprio ego, non direttamente proporzionale, in importanza o in meritorio di rispetto, al numero di zeri disponibili in banca"

martedì 21 dicembre 2010

Roberto Mandracchia - Guida pratica al sabotaggio dell'esistenza

Titolo originale:
Autore: Roberto Mandracchia 
Anno 2010
Edizione: Agenzia X
Pagine: 156


"Qualsiasi cosa portata all'eccesso, contiene sempre il suo opposto"

Avrei potuto recensire questo libro immediatamente. Ultima pagina e giù con la penna. 
Se ho scelto, invece, di non farlo e di attendere, è stato perché volevo un segnale che realmente mi desse la possibilità di cogliere ogni cosa. Il momento è arrivato sul regionale Bologna-Milano delle cinque e trenta del mattino, un breve viaggio tragicomico d'espiazione. 

Il pensiero di dover ricorrere in un così breve spazio, a una ripetizione, mi indispone, ma non posso far a meno di notare come il lemma tragicomico sia particolarmente adeguato anche a descrivere alcuni dei tratti più peculiari (corrispondenti ai luoghi e ai personaggi) di questo romanzo nichilista e, per certi versi, surrealista. 
Quando partecipai all'incontro con Roberto Mandracchia, il giovane siculo autore del romanzo, già dalle prime letture delle poche pagine fu facile percepire i toni nichilisti e autodistruttivi, la drammaticità parodistica, grottesca, respirabile, sia camminando per le strade di Garogenti, sia osservando i personaggi (soprattutto i comprimarii) legati alla vicenda. 

Per scoprire la restante parte ho avuto bisogno di molto più tempo. Ho dovuto, infatti, focalizzare la mia attenzione sulla relazione fisica, anche se del tutto platonica, tra il protagonista e Marta e, soprattutto, sulla maniera in cui si innesca la violenza, improvvisa e quasi sorprendente per l'agghiacciante crudezza.
Psichedelia come gocce di siero schizzate dall'ago di una siringa.

Tutto quel che ho gia detto riguardo all'incontro resta, come resta il consiglio alla lettura di quest'opera prima. 
Del resto come dice l'adagio popolare, chi ben comincia è a metà dell'opera e non posso far altro che attendere fibrillante la sua prossima fatica letteraria. 
Buona lettura.

martedì 14 dicembre 2010

"De violenza". Ovvero:"Ma state giustificando la violenza davvero?"

"Ma state giustificando la violenza?"
Oggi, 14 dicembre, lo stato italiano nelle sue principali città sta vivendo vari momenti di "guerriglia" urbana (potremmo telegiornalisticamente dire, pochi facinorosi stanno bestializzandosi). 

Diciamo, che il motivo fondamentale di questo sommovimento urbano è che pare, che un numero non ben precisato di gente (vorrei poter esprimere con più premura che si tratta di una gran fetta di troppo silenziosi italioti), si senta satolla della gestione accapponante della Res Publica. Leggendo e intervenendo mi sono imbattuto in questa sorta di domanda retorica: "ma state giustificando la violenza davvero?"
Vorrei quindi rispondere con l'intenzione di fugar via qualche dubbio a riguardo.
Giustificare la violenza avrebbe lo stesso valore di giustificare la vita dei sassi.
Qui non si giustifica nulla. Si discute, semmai, sul significato del lemma violenza.
Quindi, cos'è violenza?

Violento è uno Stato che affama la cultura, impedendo, appena, che il presente sia vitale, e annientando totalmente il futuro.
Violento è uno Stato che fomenta i facinorosi, leggasi coglioni, la cui madre è sempre incinta (proprio come quella dei cretini, potrebbe trattarsi infatti di un secondo matrimonio), a scaricare la loro furia, in modo da poter giustificare la violenza, molto più grave, delle forze dell'ordine sulla folla. Molto più grave, perché il loro ruolo sarebbe quello di proteggere la cittadinanza, anche da se stessa, non di massacrarla lungo le strade.

Violento è uno stato democratico che fa compravendita dei voti come se gli individui fossero caramelle dal pizzicagnolo.
Violento è attaccare una camionetta, violento nei confronti dell'ignara quanto neutra camionetta, s'intende.
Violento è il rumore che produce la fodera di cuoio di un manganello o la plastica oscillante di un bastone da banderuola su una guancia, arrossando la pelle, escoriando l'epidermide, spaccando il dente retrostante.

Violenti sono i pugni, i bastoni, le pistole, ma marginalmente e inusitatamente meno, di qualunque frusciare assordante di banconote, passato di mano in mano. E' la stessa differenza che passa tra l'annichilimento  tragico e istantaneo di Hiroshima e l'affamare il popolo africano, cancellando ogni sua speranza in divenire. La differenza che passa tra una qualunque manifestazione di piazza finita in tragedia e l'avvicendamento quotidiano, sempre più buio, che stiamo vivendo in Italia.

Violento è dire: "ma state giustificando la violenza davvero?"; senza però comprendere quanta violenza silenziosa venga quotidianamente compiuta da ignoranza e grettezza, senza comprendere la terribile e indiscriminata contagiosità di quest'ultime.
Violento è il popolo italiano che non capirà mai nulla di diverso dall'adattarsi a qualunque cosa cercando il personale prima ancora del civico, che non capirà mai la differenza tra democrazia e oclocrazia.

Violento è non considerare i diritti una conquista da tenere ben stretta e non una sedia da cui pigramente amministrare i propri doveri.
A presto e buona lettura.

domenica 12 dicembre 2010

mercoledì 8 dicembre 2010

David Sedaris - Me parlare bello un giorno

Titolo originale: Me talk pretty one day
Autore: David Sedaris
Anno 2005
Edizione: Piccola biblioteca Oscar Mondadori
Pagine: 269

Nel sentirmi oggi ispirato,
ve ne spiegherò il motivo,
recensisco folgorato
non più in prosa, avanti, scrivo!

Nel momento dell'acquisto
se mi fossi accorto lesto,
che di racconti sol provvisto
di Sedaris fosse il testo,
avrei colto l'occasione
di lasciare la sua storia
quindi addio alla recensione
e a una lettura meritoria.

Son racconti autobiografici
quei che v'apprestate a leggere,
degli aneddoti specifici
da cui la risata suggere.

Due caratteri colpiscono
della sua varia scrittura:
le sue iperboli schiariscono
come lampo in notte scura;
la seconda è più complessa,
mi ci vogliono più versi,
è risposta alla premessa
ai motivi, non perversi,
della scelta ch'ho qui fatto
d'inusar la prosa russa
per parlar del "manufatto",
ma la rima di Trilussa!

Di Sedaris apprezzo il gusto
di azzeccar con giusta voce,
il suo stile mai vetusto
da lettura assai vivace.
Son pur rese esilaranti
le tematiche trattate,
le persone e i figuranti,
tra le pagine scrutate.

Me parlare bello un giorno,
insomma, dico, è da comprare,
un consiglio, che vi torno
per poterlo assaporare,
è di legger senza fretta
meglio ancora a voce alta,
perché arrivi, sì sorretta,
la risata che più esalta.

Non conosco recensioni
scritte in rima e non in prosa
quindi a me le concessioni
della scelta dilettosa.

Alzo le mani a mo' di scudo
e, come al solito, in chiusura,
un saluto, nudo e crudo:
"A tutti voi, buona lettura".

domenica 21 novembre 2010

Incontro con l'autore - Girolamo de Michele (19 novembre)

"Basta approfondire per scoprire un bluff".

Quando sentii parlare di De Michele, durante una delle mie tipiche chiacchierate da osteria, ne venne fuori il quadro di uno scrittore noir dai tratti precisi e coinvolgenti dotato di una scrittura molto densa e di una cultura enciclopedica.
In questo personalissimo secondo appuntamento (da quando sono a Bologna) alla libreria Modo infoshop, devo ammettere che, questi aggettivi, non sono esattamente in grado di dipingere le caratteristiche qualitative degli scritti e del pensiero di questo autore/insegnante.

La serata, introdotta dalla loquacità comunicativa di
Wu Ming1 (un "personaggio" che spero di poter rincontrare al più presto), si apre con un breve preambolo proprio sulle qualità personali dell'autore del libro (tra l'altro mio conterraneo tarantino), come la ricerca puntigliosa che scava fino a trovare ciò che stava cercando, e la causticità elegante di chi è abituato al dialogo documentato; qualità che senza dubbio sono riscontrabili all'interno di questo libro di 338 pagine, edito dalla Minimum fax, che porta il nome di "La scuola è di tutti".

Ciò che colpisce di più in questo saggio (caratteristica evinta anche nei brevissimi passi citati durante la serata), ricco di molti interventi esperienziali esterni all'autore, è il suo essere scritto in una maniera talmente puntuale, interessante e divulgativa (solo in taluni tratti accademica), da risultare comprensibile per qualunque lettore.
Del resto già il titolo esplicita la chiara volontà dell'autore di destrutturare l'intero dedalo di miserabili luoghi comuni, su cui si costruiscono la maggior parte delle bufale che sappiamo riguardo la scuola, con lo scopo di informare il pubblico sulla condizione reale della pubblica istruzione.

Viene trattato il fenomeno del bullismo (fenomeno molto più mediatico che reale), discusso quello del precariato, affrontata l'immotivata esigenza (sempre più inculcata) di passare al maestro unico come unica via per tagliare i costi e analizzata la spinta verso una scuola privata con lo scopo di demolire l'istruzione pubblica; attraversando, in questa dissertazione, tutti quelli che sono i contenuti e i ruoli sociali e programmatici dell'attuale scuola italiana.

Ora, è evidente, questo non è il primo libro che tratta questo tipo di argomento, né De Girolamo è il primo a vantare capacità di ricerca o attenzione per le fonti o a lavorare nel settore di cui scrive, esempi in tal senso si trovano anche in autori come Cosimo Argentina o Sandro Onofri.
La reale differenza, a mio parere, che poi è quella che si è percepita durante l'incontro, è nel taglio scelto dall'autore.
La scuola è di tutti, infatti, è in primis un saggio, che, con puntualità, esprime il disagio di un occhio attento ed esperto che avverte l'avvio di una fascistizzazione della società; brevemente intesa come imposizione culturale programmatica dello stato, atta alla creazione di individui, che abbiano una formazione contenutistica e alla realizzazione di una società statica e limitata.
Questo fenomeno, si lega alla tematica scuola, proprio per il ruolo istituzionale/formativo da essa ricoperto, per l'ostacolo da essa costituito nell'ottenimento di un simile disegno "strategico".

Quando è terminata la presentazione vera e propria, quando anche le ultime domande si sono esaurite e mi son ritrovato a camminare fuori dal Modo, ho ripensato alla risposta, fatta dall'autore, a una domanda in particolare; quella in cui gli si chiedeva quale utilità diretta, al di là dell'informare, avessero libri di denuncia come questo, vista l'insensibilità del cambiamento prodotto: "I libri sono cassette degli attrezzi attraverso i quali costruire pensieri nuovi o intervenire su quelli già esistenti. Questa funzione non produce effetti in breve tempo...".
Un po', come disse Focault, in un suo scritto: "Il mio sogno del tutto personale, non è propriamente quello di costruire bombe, poiché non mi piace uccidere la gente. Vorrei piuttosto scrivere dei libri che fossero come bombe, vale a dire libri che venissero utilizzati nel momento esatto in cui vengono scritti o vengono letti da qualcuno: dopodiché dovrebbero scomparire. Libri, insomma, destinati a scomparire poco tempo dopo essere stati letti o utilizzati. I libri dovrebbero essere delle bombe, e nient'altro".

"Strano paragone", direte voi, "immaginate come mi senta io", risponderei.
Comprate questo libro, ma vi incazzerete, sappiatelo.
A presto e buona lettura.

lunedì 15 novembre 2010

Aforisma del giorno

"Siamo tutti pieni di lacune. Il tempo, un po' di impegni, qualche contatto, relazione o viaggio, colmano quel poco o nulla che ci separa dalle infinite cose che non sapremo mai"

giovedì 11 novembre 2010

Aforisma del giorno

"Io non sono preoccupato dal presente, quanto dal futuro. Gli italiani non recidono la testa del loro re. Gli italiani lo mandano in esilio e, dopo cinquant'anni, hanno da rispondere ai rimborsi che gli vengon chiesti per i danni subiti dall'esilio e, dopo gli stessi cinquant'anni, invitano il nipote del re nei talkshow"

mercoledì 10 novembre 2010

Shingo Tamai - Il mondo di Zeta (Dei o Demoni)

Titolo originale:
Autore: Shingo Tamai
Anno 2010
Edizione: Società editrice La Torre
Pagine: 408


Saranno in pochi a non ricordare le parole: "Quando udrai un fragor a mille decibel...", ma non servirà affatto averne anche solo il ricordo per leggere questo freschissimo libro e restarne piacevolmente colpiti. Il celebre Shingo Tamai (già famoso per le sue estreme qualità di calciatore) esordisce nei palinsesti editoriali con un romanzo (primo di una serie) che tratteggia, descrive, racconta ed esalta la sceneggiatura dei celebri fumetti e cartoni animati del genio nipponico, Go Nagai, padre dei fantomatici "robottoni" (per favore, siamo seri, che c'entra Gundam?).

Siamo in Giappone, alla fine degli anni novanta, una giornata qualunque viene squarciata da una voce, che termina il suo discorso con queste parole: "... Giapponesi! Alle sei anti meridiane di domani, mi aspetto la resa incondizionata del governo e delle forze di difesa. Altrimenti, tremerete davanti alle mie armate di mostri meccanici"; è il Doctor Hell dello stato di Bados a parlare, il suo è il preludio di tutto ciò che accadrà e che troverete leggendo.

Hanno fatto un libro su Mazinga?
Sì, ne hanno fatto un libro e, vi dirò di più, l'idea, del gruppo di autori che si nasconde dietro la firma di Shingo Tamai, nasce da una serie di sessioni di gioco di ruolo che potrete trovare, in formato scrittorio, qui.

A mio giudizio, ci sono un buon numero di cose, che in assoluto apprezzerete o che troverete stuzzicanti, se tali, da spingervi a comprarlo o quantomeno ad informarvi, lo lascio decidere a voi, benché ve lo consigli. Troverete, ad esempio, che la sua principale caratteristica, quella di seguire con una straordinaria attenzione per i dettagli, le vicende degli anime dei giganti di ferro (con il focus, in questo primo libro, su Mazinga Zeta), lascerà la possibilità di apprezzare la storia a qualunque lettore, o regalandogli un magnifico e accresciuto revival della vicenda, o portandolo per mano nei meandri di una storia particolarmente famosa, ma mai raccontata così bene. Questo aspetto, primeggiante tra tutti gli altri, taglia i fili con l'aria vagamente nerdistica che si potrebbe attribuire al libro; il quale, infatti, pur trattandosi di una cover, è tanto vicino alla sceneggiatura di Go Nagai, quanto indefinitamente più complesso e distante nella sua dinamica scrittoria, nella profondità con cui i personaggi vivono il loro essere protagonisti, co-protagonisti, antagonisti o anche semplici spettatori.
Persino le città, qui, hanno una loro voce, non è la Tokyo dei cartoni animati che vedrete respirare; quella che pare ricostruirsi immediatamente dopo l'ultimo devastante attacco dei "malvagi" mostri meccanici, ma una più realistica raffigurazione di come vivrebbe un luogo costantemente minacciato non solo dalla pericolosità del nemico, ma anche dalla mole e dalla distruttività del suo proprio salvatore (anche se il plurale, visto il numero dei protagonisti, sarebbe d'uopo). Sarete proiettati nel bel mezzo dei manifestanti che tifano per Mazinga, reggerete i cartelli che lo indicano come il pericolo numero uno e fuggirete sommersi (letteralmente) dal suono della sirena, unico tramite tra la quiete e l'attacco improvviso di questo avversario piombato dal cielo con lo scopo di assoggettare l'umanità.

Questo romanzo è la perfetta metà strada tra il fumetto e un più dinamico scritto di fantascienza, un'idea assolutamente originale, se non nella sua creazione, nell'evoluzione ad essa successiva, in attesa che il tempo scorra in fretta e così poter leggere la restante parte.
Buona lettura.

Ps. Prima di chiudere, tolgo la maschera a Tamai sotto la quale si cela un collettivo di cinque autori: Daniele Bordonaro, Cristiano Brignola, Nicola Della Lena Guidiccioni, Francesca Guidi e Juri Guidi, a tutti loro imboccallupo, sperando che vengano restituiti interi (che di questi tempi di lupi ce ne son fin troppo pochi per sperar che crepino).

domenica 7 novembre 2010

Vaffanculo. Una risposta

Capitan Fracassa

Vaffanculo a voi, sì a voi, che dal basso di questo palco mi guardate con le vostre facce sorridenti ed ora sbalordite, di chi ogni giorno se la racconta ed intanto se ne sbatte alla grande di tutto ciò che non abbia come soggetto la prima persona singolare, IO.
Vaffanculo a voi perbenisti, che vi schifate delle guerre nel mondo, che credete nella pace, che credete che l'Occidente sia la base della civiltà e non sapete un cazzo né di storia, né di cosa si provi a non poter chiamare la propria casa con questo nome.

Vaffanculo, d'altronde, a voi orientalisti, che credete che per imparare ad abbracciare gli altri sia necessario andare in espiazione in India o ad altre simili idiozie.
Vaffanculo a tutti voi, stronzi, che inquinate con la vostra presunta furbizia, con il vostro menefreghismo, con tutta la vostra grettezza il mondo, più di quanto possa fare una centrale nucleare con un fiume e se non sapete che può fare una centrale nucleare, leggete un giornale e cercate di comprendere quel che succede in Cina.

Vaffanculo a tutti coloro che credono di essere dei in terra, solo per il fatto di avere un conto in banca a nove zeri; non esistono gli dei è tempo che lo comprendiate, anzi peggio, se esistono, è perché c'è gente che ci crede, per cui, di grazia, smettete di credere voi stessi come dei, quando in questa maniera non vi considerano nemmeno gli altri, siete semplicemente patetici.
Vaffanculo agli dei sotto ogni loro forma, perché solo gli esseri umani potevano inventare delle forme "superiori" così ottusamente imperfette e vaffanculo a chi ci crede e a chi no, ai primi per le illusioni di Babbo Natale in cui vivono ed in cui chiedono agli altri di vivere con le loro stupide imposizioni ideologico-sociologiche, ai secondi per le illusioni che sfruttano a loro agio. 
Vaffanculo ai bianchi, ai negri, ai mulatti, ai rossi, ai gialli, ai fuxia, ai pois, per non aver capito ancora un cazzo riguardo alle differenze razziali; soprattutto a quelli che sono solo in grado di etichettare ogni cosa come "omofobo" o "razzista" e vaffanculo ai razzisti di merda, quelli veri, per il letame tossico, altamente nocivo, che producono ogni qualvolta si impegnano in una loro inutile, ingiusta, ignorante, insudiciante battaglia per lo stabilimento del migliore.
Vaffanculo, signori e signore qui convenute, non tanto per essere qui, ma per il fatto che in tutta la vostra porca esistenza, non avete fatto altro che ripetere a voi stessi ed agli altri "l'importante è la salute".

Vaffanculo a tutti quelli che credono, che per far sentire la propria voce, che per cambiare le cose, sia sufficiente farsi quattro passi per strada e dire che si sta manifestando un solo spilorcio giorno della propria misera vita lavorativa. Guardate cosa ci ha lasciato il passato, i morti che insozzano e che innalzano le rivoluzioni sociali (o presunte tali) magari c'è possibilità che impariate come vivere e come cambiare il presente.

Vaffanculo a tutti i "Pride" del pianeta, che hanno così poca capacità di compatirsi da soli e di combattere le proprie guerre, d'aver bisogno che siano gli altri a farlo con, o peggio al posto, loro.

Vaffanculo alle teologie, che non sono in grado di comprendere nulla che non sia legittimato dalla parola tradizione e starebbero, se potessero, ancora lì a credere nell'imperatore/Dio o nella sfiga del gatto nero, o nel Sole che gira intorno alla Terra. SVEGLIA! Il mondo cambia, se non siete in grado di stare al passo con i vostri liquami dogmatici, forse è il caso di togliere le tende, voi ed i vostri adepti incartapecoriti nell'encefalo.
 

Vaffanculo a tutti i politici del mondo, ai giudici corrotti, ai membri delle forze dell'ordine prezzolati, perchè loro, che dovrebbero essere i portavoce di una delle più grandi idee, la giustizia, sono i primi a non crederci e ad infangarla, sproloquiando, friggendo aria, abusando del loro potere e fregando quanti più possono con tutta la meschinità di cui sono capaci.
Vaffanculo ai bastardi che usano l'eskimo, alle associazioni onlus, a quelli che di giorno sono persone sociali e di notte o quando nessuno li vede e li sente, diventano terroristi, briganti, criminali e poi pretendono però un trattamento civile come risposta ai propri atti incivili, violenti, indiscriminati, criminosi.
 

Vaffanculo signori e vaffanculo signore, ma vaffanculo soprattutto a me, che da questo palco inveisco contro tutto e tutti, mi sgolo, urlo, mi dibatto, ma poi come ognuno di voi seduto con le sue mani sulla pancia, svendo a poco prezzo le parole, senza voler, poter, saper, risolvere i problemi.
Sipario e buona serata.

sabato 6 novembre 2010

VerdeNero All Star - Reading teatrale

Se non fosse stato per Saverio Fattori, non avrei mai saputo di questo evento e apro la recensione, con questo brevissimo preambolo, semplicemente perché pare che "passaparola", sia la parola magica di questo mio vivace inizio bolognese (ad esempio l'incontro con Mandracchia, mi era stato suggerito da Charlotte Pitagora).

Il di Bologna, il luogo ospitante, è uno spazio cittadino che descriverò con le uniche parole che trovo davvero indicate, quelle lette su un rettangolo di foglio A4, affisso su una delle due ante di ingresso: "Teatrino clandestino".


Verdenero All star
, questo il nome dato al "galà" organizzato dalla casa editrice VerdeNero, con lo scopo di promuovere il libro Delta Blues, ultima fatica del gruppo Kaizen, e "... chiamare a raccolta tutti i suoi autori bolognesi per una serata di festa, impegno e divertimento". L'evento si è quindi diviso tra un reading teatrale del libro con annesso incontro con l'autore, anche se trattandosi del gruppo Kaizen, l'autore in questione ha 4 nomi e 4 entità fisiche (Jadel Andreetto, Bruno Fiorini, per ragioni geografiche i soli presenti, Guglielmo Pispisa e Aldo Soliani) e una vera e propria festa mondana, arricchita da musica rock alternativa e scrittori famosi. In proposito, però, ho trovato stonata la scelta di accentuare nella locandina la presenza di questi ospiti speciali, per l'apparente vicinanza del concept di base a un'offerta di possibili relazioni pubbliche, piuttosto che a una serata culturale. Ad ogni modo, probabilmente anche grazie alla partecipazione di tali scrittori, (permettetemi di non fare superflui elenchi!) le presenze in sala erano numerose e, se sottolineo la decina di minuti di ritardo, con cui è cominciata la performance, è solo per indicare quanto, per entusiasmo personale, abbia percepito l'attesa dell'inizio del reading teatrale, in assoluto il primo a cui ho assistito (prima fila, tra l'altro); un'esperienza che spero di poter ripetere presto.

Delta Blues, è un romanzo che immerso nello sfondo degradato dell'Africa del Delta del Niger, ricalca, attualizzandolo, l'immenso Cuore di Tenebra di Conrad (a sua volta ambientato sul fiume Congo). Un lavoro dai tratti complessi, che supera il muro del romanzo conradiano, rappresentato dal contrasto tra l'uomo bianco, protagonista parlante e attivo, e l'uomo nero, comparsa muta e misteriosa; quest'ultimo, infatti, qui diventa parte attiva e giocante un proprio autonomo ruolo. E non c'è da stupirsi se tutto questo contribuisce, in breve,
non solo a inscenare una valida storia consolidata dai tratti fumosi del noir, ma che miscela anche il gusto sottile del thriller, a quello "sfacciato" del reportage d'inchiesta.
A rappresentarlo erano presenti sul palco tre persone: Jadel Andreetto, co-autore e inteprete delle parti non recitate del romanzo, come voce riassuntiva, più che narrante (in procinto di iniziare un tour letterario che lo porterà fino a New York, Toronto e Buenos Aires, solo per citare alcune delle prossime tappe) e poi
Daniele Bergonzi e Andrea Giovannucci della Compagnia fantasma come attori/lettori. Quest'ultima, composta anche dall'organizzatrice Cristina Buono, e da Stefano D'arcangelo e Alessandro Giovannucci, dal canto suo, è un nome che continuerà a stimolare per un bel po' la mia mente, non solo per l'abilità tecnica, interpretativa e a tutto tondo teatrale di Daniele e Andrea, che persino da seduti e per più di mezz'ora, hanno reso fotograficamente nitide le immagini e dato tridimensionale vita ai personaggi presenti nei passi letti dell'opera, ma anche per una perfetta colonna sonora, a cura di Stefano e Alessandro, decisamente efficace e in tema, caratterizzata da suoni elettronici chillout e percussioni (a voler cercare il pelo nell'uovo, forse peccando nel volume, appena più alto del necessario).

Non c'è finale deludente, né credo di dover menzionar, il mio “oltranzismo” alla seconda parte mondano-musicale della serata, in fondo le relazioni sociali sono fondamentali, ad esempio, senza loro, avrei "rischiato" di trascorrere un venerdì sera in un’ennesima osteria.

A presto e buona lettura.


Ps. Ringrazio infine, Jadel dei Kaizen e Daniele della Compagnia Fantasma, per la gentilezza dimostrata nel sopportare,
rispettivamente, domande curiose e domande mancate.

giovedì 4 novembre 2010

Thomas de Quincey - L'assassinio come una delle belle arti

Titolo originale: On murdered considered as uno of the Fine arts
Autore: Thomas de Quincey
Anno 2009
Edizione: La Biblioteca - Robin edizioni
Pagine: 126


"... La gente comincia a rendersi conto che nella composizione di un bell'assassinio, c'è qualcosa di più di due stupidi, l'uccisore e l'ucciso, un coltello, una borsa e un vicolo buio. Trama, signori, allestimento, luce e ombra, poesia, sentimento, sono ora considerati indispensabili a prove di questa natura. ...Ogni cosa a questo mondo ha due aspetti. L'assassinio, per esempio, può esser preso per l'aspetto morale ... e quello lo ammetto è il suo lato debole; oppure può essere trattato esteticamente, come dicono i tedeschi, cioè in relazione al buon gusto ...".

E' con questo ironico inizio che si viene a conoscenza del tema che verrà trattato per l'intero brevissimo romanzo, che, se vogliamo, possiamo considerare, con un certo divertimento, molto vicino ad un'opera saggistica, una specie di elogio della polvere estremamente dissacrante e godibile.
Infatti, attraverso l'escamotage inventivo di un uomo morbosamente virtuoso, che entra in possesso di materiale scottante appartenente a una Società londinese, che dovrebbe occuparsi della diffusione del vizio (a sindacare che l'esercizio del moralizzare sia un leitmotiv senza tempo particolarmente suscettibile della nostra società), de Quincey ci spinge in articolate descrizioni, che dal genio incontrastato dell'inventore dell'omicidio, Caino, giungono fino all'Inghilterra dei suoi anni.
Vengono descritti con minuzia e sopraffino eloquio ben due omicidi, piuttosto differenti tra loro, ma accomunati dalla architettura artistica della loro globale esecuzione e dal gesto atletico compiuto dalle vittime per salvare la propria vita.

Il taglio narrativo scelto è una strampalata quanto "geniale" iperbole, tipica dello humour britannico, un modo per vivacizzare con scelte stilistiche raffinate e del tutto fuori schema, un argomento di approccio più accademico, con il risultato non di ridicolizzare la materia trattata, ma l'occhio con cui la società l'osserva.
Buona lettura.

giovedì 28 ottobre 2010

Incontro con l'autore - Roberto Mandracchia (27 ottobre)

Un posto che pare uscito da un miraggio librario, di quelle librerie che paiono la casa di uno studente universitario sballato, ma ben fonito di letture e di cd musicali ricercati, che vive da solo in un monolocale di 50 metri quadri con soppalco. Così è apparso il Modo infoshop di Bologna al nostro primo vero incontro. L'autore che avrebbe presentato il suo libro d'esordio in serata, sarebbe stato un giovane siculo di 24 anni, R. Mandracchia, Guida pratica al sabotaggio dell'esistenza, edito da Agenzia X.
Dal momento in cui ci si accomoda tra poltrone e sedie, si comprendono immediatamente due cose: la prima è che lo scrittore gioca abbastanza in casa; infatti la presenza di amici, amiche e conoscenti è percepibile dalle molte battute di confidenza (che sarebbero continuate per tutta la durata dell'incontro); la seconda è che se ci sono due parole che potrebbero dare il titolo all'incontro, queste sono "informalità" ed "emotività".


Non ho ancora letto il libro e pertanto mi asterrò dal dare peculiari giudizi sullo stesso, che rimanderò a data da destinarsi (anche perché gli spoiler son stati parte integrante della presentazione e vorrei invece invitarvi all'acquisto librario), ma gli estratti letti dall'autore e dallo scrittore Saverio Fattori, l'introduttore dell'incontro, accompagnati dall'arpeggio acustico della chitarra di Fausto Savatteri, sembrano promettere davvero bene, un assaggio nichilista di un libro breve e decisamente intenso, che sotto l'anagramma di Garogenti, nei meandri di una storia d'amore dai tratti agghiaccianti, nasconde la profondità tragicomica dell'animo del Sud, in particolare di quella parte di sud che si chiama Sicilia.
Come tiene a sottolineare Mandracchia (ma chiamatelo pure Roberto, a piacere) non si può avere un libro ambientato nel Sud, senza che si parli di Mafia, ma non è con la solita mafia che si avrà a che fare, quella dei gangster da prendere a modello, da cui sentirsi esteticamente appagati, bensì quella del quotidiano, che esiste proprio per insozzare il posto in cui vivi e non solo attraverso il puzzo dei soldi.

Un incontro che lascia l'amaro alla fine, proprio per la sua brevità di un'ora, che arriva quando ne vorresti di più. Un coito interrotto, per cercare un'analogia descrittiva al libro usata dallo stesso autore.
E sarà pure vero, forse, che "
la cosa che ci annienta è che non abbiamo ancora vissuto niente e già non ne possiamo più", ma chissà che almeno non se ne esca vivi per poterla raccontare.
Sempre che a qualcuno interessi.
Buona lettura e a presto.

Aforisma del giorno

"L'arte ha il pregio di far gongolare l'artista due volte: quando viene realizzata e quando lo realizza"

lunedì 18 ottobre 2010

Michail Afanas'evic Bulgakov - Cuore di cane

Titolo originale: Sabac 'e serdce
Autore: Michail Afanas'evic Bulgakov
Anno 1975
Edizione: Tascabili deluxe - Newton Compton editori
Pagine: 154

Se riflettiamo sulla problematica tecnica (per non parlare di quella etico-filosofica) offerta al giorno d'oggi dalla genetica sperimentale, ci apparirà oltremodo straordinario questo libro scritto nel 1925 e, sarà facile comprendere il perché quest'opera, non esattamente allineata al regime sovietico, abbia subito impedimenti alla sua pubblicazione, avvenuta solo verso la fine degli anni '80 del secolo scorso.

E' un libro con caratteristiche estremamente peculiari, ad esempio nella costruzione dei personaggi, che sembra soddisfino una ricerca di opposti che si incontrano e sovrappongono continuamente. Persino le due eccellenze del libro Pallinov il cane/esperimento/creatura e il dottore Preobrazénskij uomo/scienziato/padre partecipano attivamente a questo gioco degli opposti e ben al di là della sola relazione creatore-creatura. Gioco degli opposti, che naturalmente non rappresenta l'unica caratteristica, né necessariamente la più evidente, visto il continuo sfilare in rassegna dell'intera società russa. Ed è talmente vivido questo secondo aspetto, che, ampliato anche dai dialoghi e dalla presenza limitata di spazi in cui si dipana la trama, fa assomigliare l'opera più ad un carosello teatrale, che non ad un vero e proprio romanzo.

Cuore di cane non possiede i tratti grotteschi, disperati, terribili e malinconici del Frankenstein di Mary Shelley, ma quelli illimitati, curiosi e perversamente spietati della scienza contemporanea.
Buona lettura.

mercoledì 13 ottobre 2010

Aforisma del giorno

"In un mondo che vive di passato, la tradizione è l'unica cosa cui è davvero necessario attaccarsi"

giovedì 7 ottobre 2010

Nichilismo del giorno

"Questo è il motivo per cui odio la cronaca giornalistica, convoglia le intelligenze stimolandone l'emotività e alterandone l'attenzione. L'omicidio o lo stupro sono sempre delle enormi tragedie, lo è molto di più però l'inconsapevolezza di ciò che accade nel posto in cui vivi"

domenica 3 ottobre 2010

Valerio Aiolli - Fuori tempo

Titolo originale:
Autore: Valerio Aiolli
Anno 2004
Edizione: Sintonie Rizzoli
Pagine: 247


"La felicità non è mai fuori tempo"
Questo è il motto con cui l'autore, Valerio Aiolli, avviluppa in quarta di copertina il suo libro. Ed effettivamente è questo il leitmotiv della storia.

Protagonisti dell'intreccio sono Carlo Del Pozzo, professore universitario, ed Emma Fabiani, professoressa di liceo, entrambi prossimi alla pensione e con una situazione famigliare che pur nella sua normalità è continuamente sottoposta a equilibrio precario. "Storie di tutti i giorni", come le chiamerebbe Riccardo Fogli. La storia d'amore che nasce tra i due, raccontata dalla rispettiva voce/emotività di entrambi, è intervallata dalla voce/emotività dei loro famigliari co-protagonisti ed è questo escamotage narrativo, cioè quello di dare ad ogni personaggio il ruolo di voce narrante, di parti ora brevi, ora più lunghe, del romanzo, a celare l'inghippo. Infatti, benché tutti riescano a ritagliarsi la loro personale identità, gli intermezzi, nell'economia del romanzo, son privi di reale importanza, ancor di più per il fatto che risultano privi di una vera e propria conclusione.

Devo ammettere che non sono un amante dei romanzi sentimentali e non posso dire che Aiolli mi abbia sorpreso o catturato, questo nonostante la sua prosa, anche a volte un po' troppo barocca, ma assolutamente liscia e scorrevole. Ciononostante, alla fine di questa lettura mi son sentito avvolgere da una leggera veste di malinconia, la stessa, e non so dir perché, che avverto quando osservo quei quadri che hanno come soggetto il fronte dei palazzi; per intenderci, quelli in cui si intravedono finestre illuminate, qualche gatto sopra il tetto, qualche apparizione istantanea di uomini e donne intenti nelle loro quotidiane vite, tipiche soprattutto dell'illustrazione della mia infanzia.

Non so cosa ognuno di voi ricerchi in un romanzo sentimentale, ma se è il vento caldo e pensoso della malinconia, allora, questo
fuori tempo, vi piacerà.
Buona lettura.


Ps. L'illustrazione (che non è esattamente quella che avevo in mente, ma rende l'idea) è dell'illustratore Max Dalton.

mercoledì 29 settembre 2010

Valerio Evangelisti - Tortuga

Titolo originale:
Autore: Valerio Evangelisti
Anno 2008
Edizione: Piccola biblioteca Oscar Mondadori
Pagine: 330

E' il 1865 e, da adesso in poi, vi consiglio di abbandonare qualunque pensiero quotidiano, perché quando si vive tra i pirati niente della vostra quotidianità sarà più uguale. Sappiate che non sarà indolore, ma Evangelisti, nella sua magnanimità, vi promette un'agonia breve, intensa ma rapida; questo suo romanzo è, infatti, la preziosa scintilla che innesca lo scoppio della palla di cannone ed il boato dell'ultima pagina, ultimo suo scampolo di vita, sarà il gusto che attendevate dall'inizio di provare.


Non posso eccedere positivamente nel giudizio e non perché il libro non meriti, tutt'altro, ma siamo distanti da ciò che considero eccellenza e anche Evangelisti altrove ha offerto migliori prove della sua abilità con la penna. Devo ammettere, però, una cosa in particolare, in un periodo in cui Pirati dei Caraibi spadroneggia nel genere "avventura piratesca", questo libro mi ha proiettato in quello che io considero il più bel film mai realizzato sui pirati: "Pirati" di Roman Polansky.


Bene, da quest'ultimo film togliete quella maestosa macchietta di Walter Matthau, aggiungete un paio di intrighi, una tonnellata di sangue, più pirati e un'antenata de la Bamba (la canzone più famosa, forse unica, di Ritchie Valens) e otterrete Tortuga.


Un'ultima raccomandazione, dalla Filibusta o si scende alla fine del viaggio o la discesa non sarà piacevole!
Buona lettura.

lunedì 27 settembre 2010

Aforisma del giorno

"Non so se è questione di avere il culo in faccia e quindi, mancando del secondo occhio, avere problemi ad osservare da un solo orifizio la profondità del mondo in cui si vive, o se invece si ha la faccia come il culo, apparantemente uguale, ma concettualmente diverso"

giovedì 23 settembre 2010

Primo anno

Oggi mi chiedevo, e non so per quale ancestrale motivo, quanto fosse passato da quando avevo iniziato a scrivere questo blog. Ne stavo parlando proprio con Leonardo, l'amico che mi stimolò nella condivisione in rete di questi pensieri, che altro non sono, che appunti (anche in divenire) scrittorii, sparsi su pagine di diari e di libri letti. Immaginate la mia sorpresa nello scoprire che proprio oggi festeggiavo il primo anno.
Ancora non so quali fortune mi regalerà questo blog, ma anche se fosse nessuna, mi resterà il piacere di lasciare ai posteri qualcosa di più che il minimo sindacale.
Lettere e giorni compie il suo primo anno e visto il suo mutuare il nome da Esiodo, speriamo di ritrovare la stessa longevità, oltre che destino.
Buona lettura e a presto.

sabato 28 agosto 2010

Joris-Karl Huysmans - Controcorrente

Titolo originale: A' rebours
Autore: Joris-Karl Huysmans
Anno 2009
Edizione: Classici Oscar Mondadori
Pagine: 269


Via. 
Se è un libro più leggero che cercate, scorrete oltre, non durereste più di cento pagine. Non si legge Controcorrente con pressapochismo, lasciate queste 270 pagine di acrimonia verso la società umana lì dove sono. Non ne avete bisogno, né a dirla tutta loro ne hanno di voi.

Questo libro è di quelli che non entusiasmano, ma lasciano comunque senza fiato. Perché nel loro liquefare i concetti della quotidianità, sono come bombe ad orologeria innestate nelle coscienze. 
Il protagonista di questo libro, Des Esseintes, ha già perso e non ha nessun reale motivo per mutare il suo destino. La sua totalizzante componente estetica, unico suo bisogno, è solo lo specchio vacuo di quel che resta della sua condizione umana. Oltre che il modo principe con cui Huysmans consente la conoscenza del personaggio.

Questo libro è un colpo di mannaia a recidere lo spessore del Romanticismo. Una fiala d'acido sul suo trasporto emotivo, per l'Huysmans di quegli anni, insulso e molto più apparente che sostanzioso. 
E' il distacco primordiale su cui l'intero Decadentismo poserà le proprie radici accidiose e dandistiche. Nel disimpegno dalla vita di Des Esseints e nel suo arroccarsi dietro la cultura, l'ozio, l'ampollosità e l'estetica, c'è tutto il suo disprezzo verso l'ottusità avvilente di chi partecipa attivamente alla lotta politica e verso la mediocrità ipocrita della società borghese e capitalistica ottocentesca.

Il diletto di un pensatore o anche, se si vuole, il suo requiem.
Buona lettura.

giovedì 26 agosto 2010

venerdì 20 agosto 2010

Enrico Brizzi - La nostra guerra

Titolo originale:
Autore: Enrico Brizzi
Anno 2010
Edizione: Super tascabili Baldini e Castoldi Dalai
Pagine: 639

"Questo paese non ce la può fare a rompere del tutto col passato... A parole vogliamo tutti che la giostra giri veloce. Appena comincia, però, c'è sempre qualcuno che si mette paura e chiede di scendere."

What if?
E' con questa formula anglosassone che si aprono le ucronie storiche; con quel "cosa sarebbe accaduto se", che in questo caso suona più o meno come "cosa sarebbe accaduto se Mussolini non avesse preso parte alla Seconda Guerra stando dalla parte sbagliata"?
A questa domanda, una possibile risposta, è data dall'intera base della sceneggiatura di questo libro, un piccolo pretesto per raccontare attraverso uno spaccato tragico della nostra storia, la quotidianità di quegli anni e le caratteristiche di uomini e donne italiane, in tutto il loro essere appassionati, creativi, coriacei e arrangioni, sempre in cerca di capipopolo da trasformare, al primo soffio di vento contrario, in capri espiatori.
Un'Italia che vuol mutare senza però cambiare mai nulla.

Al di là del gioco "fanta-storico", c'è molto che si aggira nei meandri di questo pregevole romanzo, ci sono le fotografie sociali di quell'Italia così simile alla nostra e c'è, infine, ma non per importanza, la cronaca degli anni 1942/45 annotata da Lorenzo, il giovane protagonista, che vive, questa Nostra guerra con i suoi umori e i suoi affetti.

Godetevi queste seicento e passa pagine e lasciate da parte i vostri "if".
Buona lettura.

giovedì 5 agosto 2010

Aforisma del giorno

"Solo un uomo in amore saprà comprendere quanto le imperfezioni dell'amata siano perfette"

sabato 31 luglio 2010

Robert Luis Stevenson - Il dottor Jekyll e Mr. Hide

Titolo originale: The strange case of Dr.Jekyll and Mr.Hide
Autore: Robert Luis Stevenson
Anno 1991
Edizione: I Classici Universale Economica Feltrinelli
Pagine: 111

E' un peccato non aver trovato alcuna copertina della Feltrinelli, adattabile all'occasione...
Prima di leggerlo, quando pensavo a questo libro, lo immaginavo truculento, per stomaci forti, più fantascientifico. Non è esattamente così, la forza delle parole espresse non è nel suo modo splatter di presentarsi, ma nel suo toccare dentro, nel mostrare come, la normalità, nel suo esistere, è un filo sottile.
E questo, non solo perché noi tutti possediamo un alter ego, perverso, violento, più conformemente animalesco, ma perché c'è solo una porta a separare le nostre due vite, aperta la quale, è sempre più difficile prima il chiuderla, poi persino il non oltrepassarla.


Credo che sia difficile uccidere un uomo, ma credo anche che tra ucciderne, ad esempio, quindici e ucciderne foss'anche cento, consapevolmente, l'unica differenza sarà la naturalità dell'atto nel suo mostrarsi alla nostra psiche di omicida. La quale, via via apparirà ai nostri occhi prima sconvolgente, depravata ed emozionante, poi sempre più metodica, algida e usuale.
I gesti che rappresentano la normalità, sono parte di quel filo da lei composto, oltrepassato il quale, arduo, se non impossibile sarà il ritorno.


Siamo tutti Jekyll, con la paura dei possibili Hide che in noi imprigioniamo.
Buona lettura.

giovedì 1 luglio 2010

Aforisma del giorno

"Chiunque metta pazienza sia ringraziato, a chi vi aggiunga virtù d'osservazione, gli sia fortuna"

sabato 26 giugno 2010

Frivolezza del giorno

"Penso che i film horror degli ultimi anni abbiano, come unico obiettivo, quello di diffidare lo spettatore dal fare viaggi verso i paesi dell'est e dell'America Latina. Un po' come accadde con i bagni in mare aperto da The Jaws in poi.

Ps. E anche che strappare occhi dalle teste, sia facile come vendemmiare uva.
Viviamo in tempi difficili, pare"

giovedì 17 giugno 2010

Aforisma del giorno

"Il benessere ci ha resi molli. La minaccia della mancanza di benessere ci rende ignavi"

lunedì 14 giugno 2010

Philip Kindred Dick - Follia per sette clan

Titolo originale: The clans of Alphane moon
Autore: Philip Kindred Dick
Anno 1963
Edizione: Fanucci editore
Pagine: 234

"Follia per sette Clan". Quando mi trovai per la prima volta questo libro tra le mani, il pensiero di leggere una storia popolata da malati di mente, mi colpì con così tanta vivacità da promettere, principalmente a me stesso, che prima o poi l'avrei comprato.

Il romanzo si divide inizialmente in due parti sovrapposte, che finiscono per congiungersi totalmente: la prima parte si focalizza sulla Terra, dove il protagonista Chuck, impiegato presso un'agenzia governativa, vive una relazione ormai in disfacimento con sua moglie; la seconda s'incentra, invece, sul pianeta Alpha III L2, un tempo colonia terrestre ove venivano ricoverati affetti da patologie psichiche, i quali, in seguito all'abbandono terrestre, hanno creato sette clan, uno per ogni disturbo, instaurando un consiglio dei capi clan con il compito di dirimere tutte le questioni del pianeta.

L'intreccio è decisamente spassoso, soprassedendo naturalmente la misoginia, spesso presente negli scritti di Dick, (ad esempio qui).

La riflessione che ha prodotto la lettura è decisamente in tema, benché non espressa completamente all'interno della sua struttura.
Diverso. Nella simbologia matematica viene rappresentato con un uguale sbarrato, quindi leggendo semplicemente, il simbolo significa non uguale.
Direi che si tratta di un pensiero banale, vero?
Ed allora in tutta la mia banalità, mi domando: se dato per assioma, che diverso, cioè non uguale non ha connotazioni spregiative, almeno non nella sua prima dicitura, come mai tutti i diversi da noi, quali che siano i diversi e quali che siamo noi, sono sempre guardati con sospetto, con intolleranza, con paura?
Accettare è un verbo della prima coniugazione, la prima che viene insegnata e presumibilmente imparata nelle scuole, ma coniugare e comprendere non fanno neanche rima, figurarsi se possono essere sinonimi.

Buona, estasiante, lettura.

lunedì 7 giugno 2010

Aforisma del giorno

"Come fiori che cercano luce, voltando il viso accarezzato dal vento. Così viviamo. Bruciati. Accecati. Beati"

martedì 1 giugno 2010

Metti un giorno un proiettile colpisce un civile

Diapositiva
I fatti che sono successi, tutti noi abbiamo la possibilità di leggerli sui giornali.
Certo, qualche telegiornale avrà nicchiato, nella speranza che l'accaduto non inneschi incidenti diplomatici tali da costringerlo rompere il suo proprio naturale schieramento "politico". Eppure i dubbi restano. Ché i video mostrati fanno vedere solo (come se già non bastasse) soldati in "tuta da lavoro" (leggasi in tenuta da guerra) che salgono mediante funi sulle navi, manifestanti portatori di diritti umani che brandiscono bastoni su esseri umani come fossero manichini. Poco più che questo.

La difficoltà dell'osservare è derivante da tante cose. In queste vicissitudini, come in altre c'è una difficoltà in più. Il tifo da stadio.
La mia squadra non la cambio nemmeno se perde, perché sennò non sarei un buon tifoso. Io sono filo-palestinese, io sono filo-israeliano. Bla bla bla.
Questo conflitto è pieno di cose che per sapersi davvero avrebbero bisogno di vite dedicate alla ricerca oggettiva dei fatti. E come si fa?
Chi li scrive sti' fatti oggettivi, una persona soggettiva?
Il problema solito della storia.

Quelle che produciamo noi altri son chiacchiere emotive dettate dalla conoscenza più o meno vasta di quel che sappiamo. Ma noi degli interessi che li muovono sti' fatti, sappiamo ricchi cazzi. Per lo meno i più di noi. Perché qualcuno sa, ma giustamente non parla.
Abbiamo un mondo costruito sui silenzi.
Un substrato di realtà, ben più spesso del reale, concepito dalle incomprensioni lasciate da questi silenzi.

Che è accaduto ieri?
Ieri un gruppo di persone, che contavano personalità importanti e in qualche caso famose, motivate dal loro essere uno strumento di vita (dal loro punto di vista in piena responsabilità e buonafede) si son trovate di fronte delle navi da guerra.
Moltissime cose passano nella mente di chi pensa di essere nel giusto, io penso che loro abbiano pensato "Non spareranno mai. Possiamo provocarli quanto ci pare, ma se sparano succede un casino e son cazzi loro".
I soldati hanno intimato loro di "non fare troppe storie e di far salire a bordo i soldati per portare le navi in un ormeggio sicuro per fare tutti i controlli" che tradotto significava, "fate salire i soldati e per questa volta ve la cavate tutti tranquillamente, senza che vi succeda nulla di grave, ma tutto ciò che c'è qua sopra non vi verrà restituito".

Qui c'è il primo "bivio", avrebbero potuto scegliere di prendere il largo e andar via, avrebbero potuto eseguire gli ordini, oppure l'opposizione diretta, la terza via, quella che hanno scelto.

I pacifisti hanno provato a sfondare il blocco.
I soldati son saliti a bordo della nave.

I pacifisti hanno preso la sciagurata decisione di romperne di legnate un paio quando si son visti abbordati (tra l’altro, abbordare un gruppo di navi battenti bandiere di stati misti, composto da passeggeri di cittadinanza mista, in acque internazionali, non sarà reato?), dopodiché tra legni alla buona e qualche coltello, che sempre ci si trova addosso in queste situazioni (coltelli da cucina compresi) se le son date, finché gli israeliani, visti disarmare per le botte subite i primi soldati arrivati sul ponte, hanno deciso, presi dalla comprensione che la situazione gli era ormai sfuggita di mano, di sparare sulla folla per disperderla, lasciandone a terra, invece, meno di una quindicina (speriamo).

In quel momento chi stava comandando la situazione avrà pensato, "Cazzo, sti’ figli di puttana non dovevano morire, mo' come glielo spiego al mondo intero che gli stronzi son loro e non io?"

Il resto son tutte le chiacchiere. Tutte quelle che ho proferito, che continuerò a tossicchiare, che ho ascoltato e letto.

Ora, quello che è importante capire, è che questa situazione è presumibilmente stata creata ad hoc; quello che sapremo nei prossimi tempi è chi l'ha pensata. Come in ogni conflitto della storia, ci vuole pochissimo per innescare dei piani. Questo piano può essere stato o un errore grossolano o un piano ben congegnato non entrambi.
Quindi, secondo problema. Chi.
Bisogna vedere, infatti, chi è che lo vuole il subbuglio, se sono i palestinesi (o arabi) che vogliono il pretesto per dare ulteriormente addosso, oppure se son stati gli israeliani che prospettando una risposta dal mondo arabo, sperano che questi ultimi la facciano grossa per avere l'autorizzazione a rispondere con la forza, quella che solo gli israeliani, grazie ai mezzi di cui dispongono, possono dispiegare. E che, aggiungerei io, non esitano giammai a mostrare, come fosse un modo per dire "occhio, che per come lo abbiamo duro noi, ve lo sentite solo quando ve lo ficchiamo dove vi fa più male".

Come ultima cosa un problema principe.
Quand’è che un soldato può sparare addosso a un civile? E poi, in tutto questo buglione di risposte emotive riguardanti il conflitto e l’accaduto, se al posto di Israele ci fosse stato uno stato come la Libia, che cosa avremmo detto? Perché da questa seconda risposta ne va anche della nostra onestà intellettuale.

Per mio conto ho parlato abbastanza.
Speriamo, quindi, nell'errore (anche se credo ci sia un piano), diversamente ripenserei a quando un coriaceo Mussolini disse, riuscendoci ampiamente: "voglio portare un migliaio di morti sul tavolo delle trattive"...
... e allora mi auguro che, se questa è la risposta che si danno i potenti di questa Terra, che comincino a buttarle queste atomiche, almeno sta' società di depressi mentali e degradati morali va al macello e fanculo a chi resta.
Buona lettura.
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