Forse non essenzialmente io, ma io

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Bologna (itinerante), Bo, Italy
Nato a Taranto il 6 maggio nel segno del Toro. Il Giallo del collettivo Shingo Tamai, cialtrone poliedrico, dilettante eclettico, onnivoro relazionale, sempre in cerca di piaceri, di vezzi, di spunti e di guerre perse in partenza. L'idea di comparire in questi termini sulla rete è nata da un brainstorming con un amico, Leonardo Chiantini, qualunque fortuna possa avere il suo primo "quaderno di appunti" virtuale, è a lui che vanno i suoi ringraziamenti.
Benvenuti e buona lettura.
Ps. Aggiungetemi su Facebook e, con lo pseudonimo andrelebrogge, su Twitter

mercoledì 30 settembre 2009

José Saramago - Cecità

Titolo originale: Ensaio sobre a Cegueira
Autore: José Saramago
Anno 1995
Edizione: Einaudi tascabili
Pagine: 315

"Solo chi non deve ricercare la sopravvivenza, medita di filosofia"
Motto medievale

Questo, è uno di quei libri che per tante volte, nelle mie escursioni in libreria, ho girato e rigirato tra le mani. Non avendo mai sentito nulla a riguardo della sua trama, infatti, prima di comprarlo ci ho messo un bel po’. Quando finalmente mi decisi a comprarlo fu, come accade a volte per gli incontri casuali, perfetto.
Il libro perfetto per il più perfetto dei momenti.


Una città senza nome, viene colpita da un’epidemia. Un male sconosciuto e dall’incubazione breve, che causa una cecità atipica: la vista non si oscura, ma si copre di un bianco lattiginoso. L’intervento dello Stato è immediato e il più duro possibile; tutte le persone affette da questo ignoto virus vengono, infatti, confinate in quarantena, in attesa di accertamenti.
Il concetto su cui si struttura la vicenda, è il mutare della natura umana ogni qualvolta si trovi in uno stato di crisi, mutamento che sarà tanto più profondo, quanto grave lo stato di crisi. La natura umana, per Saramago, è qui equiparata, a quelle delle bestie.
L’umanità lascia spazio alla bestialità, l’emotività agli istinti, la crudeltà alla cattiveria.

Per mia personale curiosità, ho cercato informazioni su questo romanzo e quando, tra le altre cose, ho letto di quanta incidenza avesse, nel romanzo, la visione pessimistica di Saramago, principale indiziata di questo giudizio così “pesante” sulla realtà della natura umana, sono rimasto perplesso. Dal mio punto di vista, infatti, l’uso del pessimismo per spiegare Cecità, ridurrebbe miserevolmente l’acutezza dell’autore.
La visione di Saramago del mondo in cui viviamo è una perfetta istantanea fotografica. Semplicemente, i suoi uomini sono privi di maschera, privi di quell’etica da convivenza imposta dalla società, cui diamo il nome di Diritto. Nel mondo impazzito in cui stanno vivendo non ne hanno bisogno e non se ne servono.
Il mondo dell’autore esprime il fascino agghiacciante dell’orrore.
Un orrore maestoso.
Uno specchio distorcente, che mostri come più spesso l’immagine distorta sia la nostra, non quella riflessa.
Buona lettura.

Aforisma del giorno

"Descrivere l'amore, lo farò in due parole: è impossibile"

lunedì 28 settembre 2009

Jerome Klapka Jerome - Tre uomini in barca (per tacere del cane)

Titolo originale: Three men in a boat (To say nothing of the dog)
Autore: Jerome Klapka Jerome
Anno 1987 (pubblicato in Italia)
Edizione: Oscar Classici Mondadori
Pagine: 243

Va specificato, prima di trattare di questo esilarante libro, che passando la mia vita in viaggio e non in senso metafisico (per lo meno non in questo caso) ma proprio fisico, la maggior parte delle mie letture avvengono e si esauriscono proprio nelle carrozze di treni, sui sedili di autobus, pullman, aerei e quant'altro.
Se vivete in viaggio o se avete una mente viaggiante o, ancora, se amate i libri ben scritti che parlino di massimi sistemi, di amicizia di frivolezze e di risate, dovete leggere questo classico della letteratura inglese.


I tre personaggi protagonisti di questa breve gita in barca, vi condurranno in un meraviglioso mondo che ognuno di voi conosce a menadito, quello delle chiacchiere tra amici che trasformano qualunque discorso in una trattazione filosofica, in cui son ben miscelate l'ironia e l'argomentazione scientifica. Tutto è intervallato dal susseguirsi di marachelle e di tacite elucubrazioni del cane più straordinario della letteratura, Montmorency, un irriverente fox terrier (a mio parere superiore di gran lunga a quegli intelligentoni da televisione di RinTinTin e Lassie).
La genialità di Jerome vi porterà molto oltre la vostra immaginazione e, prestate attenzione, salvo che siate disinteressati nel mostrarvi sghignazzanti ad occhi estranei, accostatevi alle sue pagine nella quiete della vostra camera, dove la solitudine vi impedirà di apparire come "lo zimbello che ride con un libro in mano" agli occhi dei posteri.


Lettura deliziosa, per lettori in cerca di ironia in movimento.
Buona lettura.

Aforisma del giorno

"Sono sicuro del fatto che occorra più tempo per creare che non per distruggere, ma non saprei dire quale delle due azioni provochi più piacere"

sabato 26 settembre 2009

venerdì 25 settembre 2009

Aforisma del giorno

"Ogni cosa ha una sua dilatazione relativa nel tempo, esaurita la quale non è più nemmeno ricordata"

giovedì 24 settembre 2009

Riflessioni su "Il deserto dei Tartari"

Titolo originale: Il deserto dei Tartari
Autore: Dino Buzzati
Anno 1945
Edizione: Oscar Mondadori classici moderni
Pagine: 202

Ci sono alcuni libri, ma forse dire "alcuni" è riduttivo, che capitano nei giusti momenti della vita, dove giusto non sottointende positività, ma solo temporalità.
Questo libro è stato questo per me.
Ho sempre saputo che "Il deserto dei Tartari" era un viaggio attraverso l'inquieta solitudine umana. Non è così, non solo almeno.
E' una critica a questa società prestampata, monoporzione, un manifesto contro la routine alienante che ci imprigiona ogni giorno di più, sorridendoci, disarmandoci, illudendoci. Illudendoci che domani qualcosa nella nostra vita in attesa cambierà.
Menzogna quotidiana, a cui finiamo tragicamente per credere.


Buona lettura.

Testamento biologico

Legnano, 11 Febbraio 2009

Io, Andrea Broggi, sano di mente e di corpo, non è così che si comincia a scrivere un testamento o sbaglio? … mmm… si mi pare che sia così, non so quanto sia importante però.
Ricominciamo.
Ciao a tutti,
ecco, questo modo mi è di gran lunga più familiare, sono passati due giorni dalla morte di Eluana Englaro, una storia particolare, ma non credo così tanto rara pur nella sua indicibile sofferenza, solo, forse, sensazionalmente più mediatica. Sono disgustato e come tale senza molte parole, ma dato che, come sentii dire ormai qualche anno fa, “noi uomini di lettere siamo in fondo tutti un po’ showman”, mi prendo la briga di mutare in parole questo senso di nausea, di vuoto, che sento in merito a quanto accaduto e penso, a dirla tutta, che questo bisogno sia più un mio egoismo, che non una risposta.
So che morirò, e chi mi conosce bene sa che l’unico rammarico che avrei, se morissi domani improvvisamente, è il non aver dato vita ad altro godimento per me e per chi mi sta intorno (intentendendo con “intorno” non solo gli affetti più cari, ma piuttosto, con beneplacito della mia catalizzante superbia, del mondo, che avrebbe il piacere, senza dubbio reciproco, di incontrarmi). Ma non sono qui per scrivervi di malefatte compiute o di avventure vissute, non parlo dei giorni fugaci o lenti che sono trascorsi lungo il mio viaggio e non credo di essere Petronio, per potermi burlare a tal punto dei posteri, da lasciare ammonimenti, punizioni e ricompense mentre il vino che mi regala il piacere della vita, vien fuori dalle mie vene, mutando quella vita in morte.
Se scrivessi per la mia morte, penso che direi cose differenti, racconterei piccoli aneddoti in grado di emozionare quelli che tra voi davvero hanno pizzicato le corde del mio animo, a tal punto da permettermi di regalargli un sorriso o una lacrima a piacimento, mio o loro che fosse.
No, non scrivo per la morte.
Scrivo per quella che io chiamerei morte, ma che la scienza medica chiama “stato vegetativo permanente”.
Questo che io scrivo, in maniera tanto edulcorata, non è per pochi eletti, è per tutti quelli che mi conoscono, per tutti coloro i quali che pensando me, al Broggi, al Terrone, a Sprauje, al Bronx, al Culo più bello di Siena, aggiungono nel loro ricordo, un avvenimento, una mia qualità.
Scrivo per dire che non mi interessa nulla di cosa scriveranno i giornalisti sul conto di chi si prenderà il disturbo di “staccarmi la spina”, qualora non dovessi trovarmi nella condizione di poterlo fare da solo, perché sappiate, e non ho nessuna remora nel dirlo, che se sarà nelle mie possibilità lo farò io.
Scrivo per dirvi che, per quel che mi riguarda, il Papa ha la stessa ingerenza nei miei affari, di una tarma che prova a corrompere con il suo svolazzare caotico il legno solido di una quercia. Papa è maiuscolo solo per non confondervi le idee troppo facilmente, non vorrei che scrivendo papa, voi pensiate ad un errore di battitura e confondeste la mia bassa considerazione papalina con la messa in gioco di una delle due fondamentali persone che mi ha fisicamente generato, senza dubbio, in quel preciso momento, con piacere.
Sono battezzato, sono comunicato, ma se conoscessi il modo, per questioni di semplice coerenza, mi farei scomunicare; d’altro canto mi pare di cattivo gusto riuscire in questo intento gridando in piazza San Pietro una sequela di bestemmie all’indirizzo della balconata papalina.
Sono un laico non credente e vista la mia posizione e il buon gusto di non urlare improperii a mò di serenade, pretendo che nessun prete represso, nessun vescovo bifolco, nessun arcivescovo bigotto, nessun cardinale colluso con il potere, nessun Papa simbolo, anche solo provi ad avere una qualsivoglia ingerenza nei miei affari privati, salvo che questi non riguardino fisicamente anche loro. Quindi apprezzerei chi dicesse “sono contro l’interruzione volontaria di una vita umana, ma per quel che riguarda questo caso ognuno sia libero di fare come il proprio senno ed il proprio animo gli suggerisce”, e non provate a stracciarmi le palle mettendo fuori dalle chiese “una bottiglia piena d’acqua per la vita di Andrea”. Massa di poveri stronzi, inviatele in Africa quelle bottiglie d’acqua, puritani scialacquatori, ottusi ed ipocriti.
Perdonatemi l’impasse, ma la comunicazione mi insegna che bisogna essere chiari soprattutto con le cose più importanti, e trovo che l’immediatezza espressa dal modo di dire “massa di poveri stronzi” sia concettualmente e sostanzialmente assoluta.
Detto questo, terminiamo.
Temo che nei prossimi giorni, questo penoso stato italiano in cui vivo, scriverà una delle sue pietose pagine affermando che non siamo più nemmeno liberi di morire, né di scegliere la morte piuttosto che una vita amorfa; tuttavia dovesse poter servire a qualcosa lascio a voi la possibilità di farla.
Questa breve missiva andrà letta a qualunque pubblico si riservi il diritto di sindacare su di me e sul valore che io do alla vita di un infermo totale, quale sarebbe una persona costretta da un male a non poter sentire nemmeno la differenza, tra una parola d’amore ed un saluto, quale sarebbe una creatura ridotta ad uno stato dormiente in un letto, quale sarei io, in uno dei contesti sopraelencati o in una qualsiasi altra, paragonabile, situazione.
Queste parole devono essere lette, qualora io non fossi nelle possibilità di premere interruttori o di leggere o di parlare.
Ad una vita passata su un letto in stato vegetativo o in coma, preferisco e trovo più responsabile, coraggioso e rispettoso verso tutti coloro che mi stanno intorno (questa volta si, solo i miei più intimi affetti) scegliere la morte, foss’anche attraverso una puntura di cianuro.
Spegnete le luci, amici miei, amiche mie, miei cari, io, forse, non me ne accorgerò neppure, ma il mio involucro di carne sorriderà lo stesso.
Vi auguro che la fiamma di cui siamo portatori, bruci forte come le nostre vite.
Vi voglio bene.
A presto…
Andrea Broggi, se non si fosse capito, sano di mente e di corpo.

mercoledì 23 settembre 2009

Philip Kindred Dick - Confessioni di un artista di merda

Titolo originale: Confessions of a crap artist
Autore: Philip Kindred Dick
Anno 1976
Edizione: Fanucci editore (cartonato)
Pagine: 256

"...Posso vedere tutti i Charley Hume del mondo, con le loro radioline sintonizzate sulle partite dei Giants, un grosso sigaro che gli esce dalla bocca e quell'espressione vacua sui loro volti grassi e paonazzi... e sono proprio delle mezze calzette come queste, che tengono le redini di questo paese e le sue più importanti attività economiche e l'Esercito e la Marina, in pratica tutto... ...Un uomo come quello, in una posizione dalla quale può soffiarsi il naso su tutti noi, su chiunque abbia sensibilità e talento...".


Comincio citando una delle parti più travolgenti del romanzo, quella in cui con pochissime battute il protagonista, Jack Isidore (l'artista di merda, per intenderci) fotografa i suoi deliziosi anni della seconda metà del XX secolo (che in verità non avrebbero bisogno alcuno di datazione di sorta, tanta è la loro attualità), annientando il sogno romantico e progressista dell'American Way life. L'obiettivo è quello di prepararvi ad affrontare un Dick, che senza ricorrere alla fantascienza, delinea una realtà pulsante e vivida, che appare, soprattutto per la natura indolente del protagonista, come la tela di un ragno, affascinante e mortale.


La grandezza di Dick, a mio parere, è che in questo romanzo, a metà tra una sorta di biografia e la cronaca di uno spaccato quotidiano, grazie alla sua accurata visione, riesce non solo a definire le relazioni tra i tre personaggi principali (Jack, sua sorella Fay e suo marito Charles Hume), ma soprattutto quelle tra questi e tutto il mondo che li circonda; fino a realizzare il click dello scatto fotografico, necessario a mostrare l'ampiezza dell'intero paesaggio. Una visione nichilista, quella di questo Dick, che non nasconde, come nella maggior parte dei suoi scritti, la sua visione misogina, e che insieme tratteggiano una realtà troppo reale da lasciare indifferenti.


Buona lettura.

Koushun Takami - Battle Royale

Titolo originale: Battle Royale
Autore: Koushun Takami
Anno 1999
Edizione: Piccola biblioteca Oscar Mondadori
Pagine: 663

Per scrivere una recensione su questo romanzo devo porre particolare attenzione a non mescolare quel che i ricordi dell’omonimo manga e dell’omonimo film mi hanno vivamente lasciato. L’attenzione, tra l’altro, è doppia, perché i romanzi cui Battle Royal fa’ direttamente riferimento, traendoli a immediati modelli sono: “Il signore delle mosche” di W. Golding e “1984” di G. Orwell.
Ora, ritengo che sia importante precisare quanto, pur ammettendo tutto l’impegno del caso e persino la piena creatività della rivisitazione dal sapore vagamente ucronico, sia da tener presente che il tenore è tutt’altro che paragonabile e questo non gioca certo a favore di Takami.


Il risultato finale del mio giudizio, infatti, non è particolarmente positivo e questo va’ ben al di là della scrittura che anzi pur nella (mia) fobia iniziale delle seicento pagine, scivola con un certo tenore, riuscendo abbastanza nell’intento di trasportare il lettore, in questa scia di violenza sempre più incalzante (pensandoci, espressa con abbastanza enfasi dalla scelta della copertina dell’edizione Mondadori), fino alla fine. Anche il concept dell’intero romanzo, in cui esiste questa grande repubblica dell’est asiatico governata da una militocrazia, dove viene pescata ogni anno la classe di un liceo per sottoporla al Program, una prova all’ultimo uomo in cui gli studenti sono costretti a uccidersi tra di loro con qualunque mezzo a disposizione, è organizzato con coerenza narrativa e una vivace struttura.
Ciononostante, forse anche a causa (per aver letto il fumetto e visto il film, prima di leggere il libro) della perdita dell’elemento chiave di un libro, il fattore sorpresa, non sono rimasto favorevolmente colpito, come in passato invece era riuscito a fare il manga. La prima motivazione è la natura non sempre matura della sceneggiatura; quindi c’è il fatto di non tener conto (elemento davvero totalmente assente) della giovanissima età, compresa tra quindici e diciassette anni, dei personaggi del libro, i quali anzi si comportano, pensano e articolano conversazioni come fossero molto più che semplici adolescenti (tra l’altro nemmeno nel pieno della maturazione adolescenziale).


Vorrei concludere in gloria, invece resto perplesso, perché in effetti la bestializzazione incontrata in queste pagine coinvolge e sconvolge, ma, proprio per le lacune cui facevo riferimento, finisce per non convincere, lasciando solo un senso di mancanza di qualcosa, senza saper bene, di preciso, cosa.


Buona lettura.

Aforisma del giorno

"Immerso in una notte, il sole è altrove"
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